venerdì 12 dicembre 2008

Palermo, in tangenziale vietato superare i 30km/h

ADESSO IL CASO FINISCE DAVANTI AL GIUDICE DI PACE

La viabilità di Palermo ricorda il mondo di Alice nel paese delle meraviglie: ogni cosa è quello che sembra e, contemporaneamente, è anche il suo contrario. Un sistema viario fatto di paradossi, con le vetture che sfrecciano indisturbate a 80 km/h in pieno centro abitato (dove il limite è di 50) ma che non possono superano i 70 nella tangenziale senza rischiare la multa dell'autovelox e il ritiro della patente. Se accadesse a Napoli, Roma o Milano scoppierebbe certamente una rivolta. Non è ragionevole imporre limiti di velocità tanto bassi in una strada che, al contrario, è stata progettata per consentire le alte velocità di percorrenza. A Palermo, purtroppo, le sommosse popolari le organizzazno solo i lsu, non i cittadini comuni...
Ma veniamo al nostro caso. La tangenziale di Palermo si chiama viale Regione siciliana ed è l'incubo di tutti i cittadini. E' una lunga arteria che collega la Palermo-Catania con la Palermo-Sciacca, un percorso obbligato per chi vuole raggiungere Trapani o Messina. Ogni giorno migliaia di automobilisti passano da questa strada. E, mentre guidano, pregano Santa Rosalia che non siano in funzione gli autovelox del Comune...altrimenti la multa è assicurata.
Infatti i limiti di velocità sono talmente bassi (70, 50 e 30 km/h) che a volerli rispettare c'è il rischio di essere travolti dalle altre vetture. Sono limiti impossibili da rispettare e che infatti non vengono rispettati da nessuno. Di conseguenza, ogni volta che la polizia municipale monta l'autovelox, fioccano migliaia di multe (abbiamo chiesto al Comune di fornirci una relazione dettagliata). Grazie a questo scherzetto ogni anno il Comune di Palermo incassa centinaia di migliaia di euro.
Questi limiti di velocità sono anacronistici e anche pericolosi. Sono così irragionevoli che viene il dubbio che siano stati messi con l'unico scopo di spillare quattrini ai cittadini. Viale Regione siciliana ha le caratteristiche tecniche di una autostrada: due carreggiate separata da guard rail, due corsie per senso marcia, corsia di emergenza e rampe laterali.
Inoltre il Codice della strada dice chiaramente che non bisogna andare talmente lenti da intralciare la circolazione stradale. Ed è ovvio che andare a 30, a 50 o a 70 km/h in una strada ad alta velocità di percorrenza significa paralizzare la circolazione e rischiare il tamponamento. In pratica, stando così le cose, i cittadini sono tra l'incudine e il martello. Qualunque cosa facciano hanno sempre torto: se superano i limiti infrangono l'art. 142 del Codice della strada (eccesso di velocità) ma se li rispettano infrangono il sesto comma dell'art. 141, in base al quale il conducente “non deve circolare a velocità talmente ridotta da costituire intralcio o pericolo per il normale flusso della circolazione”.


Per questo il “Comitato costruiamo il domani” e l'associazione “Lo sportello del cittadino onlus” hanno portao la vicenda in tribunale. Abbiamo presentato un ricorso contro una multa fatta a un automobilista che aveva superato il limite di 70 km/h in viale Regione siciliana. L'automobilista, a differenza di altri ricorrenti, ha ammesso di avere superato i limite (viaggiava a 105 km/h) ma ha eccepito la ragionevolezza di questo divieto e ha chiesto al Comune di depositare in giudizio le perizie relative a quel tratto di strada.
Il caso è stato assegnato al giudice di Pace di Palermo, Maria Sofia Cannata, e sarà discusso il 13 marzo 2009. La nostra tesi difensiva è che la discrezionalità del proprietario della strada nel fissare il limite di velocità non può diventare arbitrio ma deve essere supportata da valide ragioni.
In alto due foto di viale Regione siciliana. Nella prima illimite è di 30km/h nella seconda, il luogo dove è stato multato l'automobilista, è di 70.
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Aggiornamento del 21 marzo. Il ricorso è stato respinto con la motivazione che il giudice ordinario non può disapplicare la norma del codice della strada che fissa i limiti di velocità in 70 Km/h per le strade urbane di scorrimento. Nei prossimi giorni impugneremo la sentenza.

mercoledì 12 novembre 2008

Ricorso numero chiuso: in attesa della decisione

E' passato ormai un anno da quando il "Comitato costruiamo il domani" riuniva un gruppo di studenti palermitani e presentava a loro nome un ricorso straordinario in cui ne chiedeva l'immatricolazione ai corsi di laurea di Medicina e di Odontoiatria. Oggi, 12 novembre 2008, i giudici del Consiglio di Stato si sono riuniti in camera di consiglio e hanno deciso sulle nostre richieste. Non sappiamo ancora l'esito del ricorso e potrebbe passare parecchio tempo prima di saperlo. Sei mesi nella peggiore delle ipotesi... poche settimane nella migliore. Comunque vadano le cose vorrei ringraziare tutti i membri del Comitato per il loro impegno e i ricorrenti per la fiducia che hanno riposto nel Comitato.

lunedì 8 settembre 2008

Federalismo e meritocrazia, un connubio obbligatorio.

Alessandro ArcobassoIl rientro dalle località di villeggiatura, la riapertura di scuole ed uffici, la ridefinizione dei palinsesti televisivi si apprestano a scandire i ritmi di una nuova stagione politica che, ancora una volta, vedrà protagonista l’acceso confronto tra nord e sud.

Nonostante passino gli anni e cambino i governi, a tener banco è sempre l’incapacità, tutta meridionale, di generare ricchezza e far fronte alle difficoltà occupazionali e ad un’insoddisfacente qualità della vita. In questo contesto si inserisce quel processo di finanziamento autonomo delle regioni, previsto dall’art. 119 della Costituzione e conosciuto come “federalismo fiscale”, che il Governo si appresta ad attuare.

In parole povere, in un’Italia in cui un lombardo guadagna in media diecimila euro annui in più di un siciliano, i servizi pubblici dovrebbero essere finanziati con i proventi della tassazione locale, quindi senza “aiuti” da parte di altre regioni.Ciò determinerebbe un’ulteriore responsabilizzazione degli amministratori locali, chiamati a “preferire” il rigore all’assistenzialismo, per far quadrare i bilanci, garantire l’erogazione dei servizi pubblici ed ottenere seppur modesti margini di crescita.

Vien subito da chiedersi se il Paese sia pronto ad affrontare questa nuova sfida…Pensando alle regioni meridionali, da siciliano, la mia risposta non può che essere negativa, almeno finché l’accesso alle amministrazioni pubbliche, e alle numerose agenzie ad esse collegate, non divenga il frutto di scelte meritocratiche piuttosto che il semplice prodotto dell’opportunismo politico.Non è un mistero che, in regioni come la Sicilia, molte “aziende partecipate” siano diventate degli stipendifici in cui le spese per il personale superano di gran lunga le entrate. Così come non lo è il fatto che attitudini, competenze e titoli perdano costantemente il confronto con parentele ed amicizie… naturalmente a danno della collettività.

E’ evidente, quindi, che riforme come questa non possano prescindere da assunzioni di responsabilità e scelte a dir poco patriottiche, quali l’abbandono del clientelismo e la reale valorizzazione del capitale umano.In ballo non ci sono soltanto le tasche degli italiani e l’efficienza dei servizi pubblici, bensì i sacrifici, le ambizioni e le speranze di intere generazioni di giovani meritevoli.

domenica 31 agosto 2008

Ricorso numero chiuso: udienza il 12 novembre

Tenete a mente questa data: 12 novembre 2008. E' quando il Consiglio di Stato, massimo organo della giustizia amministrativa, discuterà il ricorso straordinario presentato dal comitato "Costruiamo il domani" per l'abolizione del numero chiuso a medicina e odontoiatria. Pubblicheremo la decisione non appena sarà depositata (in media 3 mesi). I tempi potrebbero tuttavia allungarsi se il Collegio decidesse di rivolgersi alla Corte di Giustizia della Ce.
Per altre info:

venerdì 27 giugno 2008

Numero chiuso a medicina: "subito la sanatoria"

Il Comitato "Costruiamo il domani" ha lanciato un coordinamento che raggruppa i ricorrenti a medicina con lo scopo di sollecitare il Ministero all'adozione di un provvedimento che consenta la loro immatricolazione. Se anche voi condividete questa iniziativa stampate questa pagina e inviatela al Ministero dell'Università, via fax o email:

Fax Ministro: 0697727113
Mail Ministro: segreteria.ministro@miur.it
Mail Sottosegretario: segreteria.pizza@miur.it
* * *
Coordinamento ricorrenti medicina


Alla c.a. del Ministro dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca,
on. Mariastella Gelmini
IIl.mo Ministro,
desideriamo sollecitare un Suo intervento per ripristinare la legalità nell'accesso ai corsi di laurea di Medicina e Chirurgia dello scorso settembre.
La sentenza 5986/2008 del Tar Lazio ha accolto il ricorso presentato dall'Udu in cui si chiedeva l'annullamento della graduatoria del corso di Medicina della Sapienza. L'intero sistema universitario rischia adesso di collassare perché nei prossimi mesi gli stessi giudici saranno chiamati a pronunciarsi sui ricorsi relativi ad altri atenei. E' facile immaginare che, senza un intervento legislativo, ci saranno ulteriori annullamenti.
Riteniamo indispensabile, così come auspicato dai magistrati amministrativi, una iniziativa legislativa che ridefinisca la posizione dei soggetti coinvolti e che consenta il superamento di questa fase di incertezza. Riteniamo che l'unico modo per “disinnescare” la vicenda sia quello di predisporre un disegno di legge che permetta l'iscrizione dei ricorrenti a Medicina. Un provvedimento del genere renderebbe giustizia agli esclusi e tutelerebbe il diritto degli altri a proseguire nel proprio percorso formativo. In questo modo i ricorsi pendenti sarebbero dichiarati improcedibili per sopravvenuta carenza d'interesse e l'Amministrazione non si troverebbe costretta ad affrontare ulteriori liti.
Non è una soluzione nuova: è quello che è già successo in passato con l'introduzione del numero chiuso. Già l'art. 5 della legge 264/1999 aveva previsto una moratoria a favore ricorrenti e in questo modo ha scongiurato la paralisi dell'attività didattica. Le chiediamo inoltre di non tutelare solo i ricorrenti che hanno aderito al ricorso Udu, ma anche quelli che hanno partecipato individualmente e quelli che hanno presentato ricorso straordinario al Presidente della Repubblica.
Attendiamo fiduciosi una Sua risposta,
Per il Coordinamento ricorrenti medicina,
Giuseppe Lipari,
Marco Vigini,
Alessandro Arcobasso
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Ipotesi di disegno di legge
Art. 1

1. Sono regolarmente iscritti ai corsi universitari in Medicina e chirurgia, di cui alla legge 2 agosto 1999, n.264, gli studenti che hanno presentato ricorso giurisdizionale o giustiziale per l'ottenimento dell'iscrizione al predetto corso.
2. Sono altresì regolarmente iscritti ai corsi universitari di cui al comma 1 gli studenti che siano stati comunque ammessi dagli atenei alla frequenza dei corsi dell'anno accademico 2007-2008 entro il 31 maggio 2008.
---
Per ulteriori informazioni:
costruiamoil domani(AT)libero.it
(AT) = @

sabato 21 giugno 2008

Presentato il primo distributore di Bioetanolo

Dopo esserci interessati all'argomento dei Biocombustibili riceviamo adesso la notizia dell'apertura del primo distribuore di Bioetanolo in Italia. Esso sorgerà nella città di La Spezia, presso il distributore Centro Gas degli Stagnoni ed erogherà biocarburante di seconda generazione.

L'obiettivo e' di introdurre sul mercato 10 mila auto che usano sia benzina sia E85 (miscela 85%-etanolo e 15% benzina).

Il prodotto, proveniente interamente dalla nostra Sicilia, nasce dalle eccedenze alimentari dell'industria vinicola. In Italia fino a al 19 Giugno, data in cui è stato aperto il suddetto distributore, non c'era alcun impianto di rifornimento per questo tipo di carburante.

E' stato reso necesario però porre dei vincoli nelal produzione di tali "biocarburanti": il bioetanolo deve essere prodotto da materie prime non destinate all'uso alimentare e i luoghi dove le biomasse vengono coltivate, l'etanolo prodotto, e quindi dove è utilizzato devono essere il più possibile vicini tra di loro.

Il progetto ha come scopo principale quello di dimostrare la possibilità di sostituire benzina e diesel con bioetanolo di ultima generazione e con costi contenuti. E' iniziato a gennaio 2006 e terminerà a dicembre 2009.


mercoledì 18 giugno 2008

Maxi-ricorso Medicina: Tar annulla graduatorie Roma

Pochi minuti fa è stata depositata la sentenza del Tar Lazio, sezione IIIbis, relativa al maxi-ricorso Udu in cui si chiedeva di annullare i test d'accesso di quest'anno a medicina. I giudici hanno accolto in parte il ricorso annullando i test di Roma (ma non quelli delle altre università italiane perchè il ricorso introduttivo era staat notificato solo all'ateneo capitolino). Bocciate invece le censure di non conformità col diritto comunitario. La decisione è inaspettata. Non è ancora chiaro cosa accadrà a chi è entrato: molto probabilmente il Ministero sarà costretto a emanare un decreto legge per sanare la situazione. Inoltre il Ministero potrebbe appellarsi al Consiglio di Stato. Non appena avremo la sentenza pubblicheremo altri particolari.

giovedì 12 giugno 2008

Petizione contro i posteggiatori abusivi

Gli amici di Palermo Blogolandia hanno lanciato un'iniziativa che per questioni di tempo possiamo pubblicizzare soltanto adesso: una petizione contro i posteggiatori abusivi, una delle piaghe sociali della nostra città.

Scopo dell'iniziativa è invitare il sindaco Diego Cammarata ad impegnarsi per eliminare una delle metodologie di controllo del territorio da parte dei clan mafiosi.

Pertanto vi esortiamo a firmare la petizione online e far sentire la vostra voce.

Grazie dell'aiuto!

domenica 8 giugno 2008

Numero chiuso a medicina: a settembre la decisione del Cds

http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2008/05/31/pa_036ricorso.html


Nel dicembre 2007 il comitato "Costruiamo il domani" ha presentato un ricorso straordinario al Presidente della Repubblica per chiedere l'abolizione del numero chiuso nei corsi di laurea di Medicina e Odontoitria. Nel ricorso chiediamo l'intervento della Corte di Giustizia europea perchè riteniamo che la legge che istituisce il numero chiuso (l. 264 del 1999) sia in contrasto col diritto comunitario.

Ci aspettiamo una sentenza entro fine settembre. Ecco un articolo della giornalista Valentina Cucinella pubblicato su Repubblica del 31 maggio 2008.

Per altri informazioni sul ricorso controllare i post della sezione "numero chiuso" ed in particolare:

giovedì 5 giugno 2008

Musical di beneficenza


Nei locali di via C.C.5, ad angolo con via Carmelo Onorato (traversa di corso Calatafimi), i ragazzi diversamente abili dell'Associazione Spring Onlus inaugureranno il loro nuovo teatro con un musical di beneficenza.

Con la tua presenza ed un contributo simbolico potresti fare tanto...

martedì 3 giugno 2008

Tecnosistemi di Carini: quale futuro per i lavoratori?

Lunedì 26 maggio 2008 presso la terza sezione collegiale penale di Milano presieduta dal dott. Montingelli si è svolta l’ennesima udienza del processo contro Mario Mutti, dominus della Tecnosistemi, imputato per bancarotta fraudolenta.

La Tecnosistemi, azienda presente sul territorio nazionale, è stata dichiarata insolvente dal Tribunale di Milano il 30 settembre 2003 e dal 22 dicembre 2003 è in amministrazione straordinaria. Dal 21 ottobre 2003 i lavoratori non possono più varcare i cancelli della fabbrica perché sono stati messi in Cassa Integrazione Guadagni Straordinaria. Dal 22 marzo 2007 la Tecnosistemi in amministrazione straordinaria ha posto in mobilità fino al raggiungimento della pensione circa 70 lavoratori nello stabilimento di Carini. Gli altri, circa 30, sono stati posti in Cassa Integrazione Guadagni in deroga fino a dicembre 2008.

I lavoratori dell’azienda di Carini si sono costituiti parte civile in questo processo nell’udienza del 16 gennaio scorso ottenendo così un primo riconoscimento utile a soddisfare il desiderio di giustizia che si spera possa essere reso completo con la condanna di Mutti e con il riconoscimento del danno procurato ai lavoratori della stabilimento di Carini. Una giustizia sino ad oggi negata dalle istituzioni regionali e nazionali incapaci di dare risposte a chi chiedeva, attraverso le varie manifestazioni di protesta per le città di Palermo e Carini, di avere garantito il proprio diritto al lavoro, un diritto che se viene a mancare ti toglie dignità e crea seri problemi di sopravvivenza.

Nell’udienza del 30 gennaio 2008 ha deposto la dottoressa Chiaruttini, una dei tre attuali commissari straordinari che ha testimoniato che la Tecnosistemi già verso la fine del 2000, circa un anno prima che acquisisse il ramo d’azienda dei Sistemi di Energia da Italtel, aveva perso tutto il capitale sociale, ed erano evidenti i segnali di tensione finanziaria verso la fine del 2001. Ha inoltre utilizzato una definizione per spiegare l’attività imprenditoriale della Tecnosistemi: era una discarica occupazionale. Quindi, per venire incontro alle richieste di Italtel che aveva bisogno di disfarsi di 145 lavoratori, Tecnosistemi, nonostante era chiaro a tutti che fosse in forte sofferenza, non ha esitato a prendersi in pancia il ramo dei Sistemi di Energia. All’epoca di questi fatti, Giovanni Barbieri era contemporaneamente consigliere di Tecnosistemi stessa e Amministratore Delegato di Italtel. Nell’udienza dello scorso 12 maggio Pino Martinez, uno dei lavoratori della Tecnosistemi, è stato citato come teste del Pubblico Ministero ed ha messo in rilievo che sin dal primo giorno dell’acquisizione dei Sistemi di Energia è stato chiaro che le ditte fornitrici di componenti e materiali non volevano avere a che fare con Tecnosistemi in quanto non pagava e pertanto fu concordato di acquisire la merce tramite Italtel che si prestò a questo gioco.

Lunedì 26 maggio 21 lavoratori della Tecnosistemi hanno deposto nel processo contro Mutti. Assistiti dagli avvocati Piergiorgio Weiss e Ettore Zanoni hanno raccontato al Presidente della Terza sezione collegiale penale del Tribunale di Milano la loro sfortunata vicenda lavorativa e le difficoltà in termini economici e di salute che molti di loro stanno vivendo. Oltre duecento euro è costato il viaggio aereo pagato di tasca loro. Un sacrificio necessario, con la speranza di ottenere giustizia, apprezzato dal Presidente Montingelli e dai Pubblici Ministeri oltre che dagli stessi avvocati di parte civile.. Il prossimo 30 giugno un’altra ventina di lavoratori a spese proprie si recheranno al Tribunale di Milano per testimoniare contro Mutti. Certo, è un processo non facile dove si ha a che fare con un personaggio potente. Nella vicenda Tecnosistemi compaiono figure che insieme a Mutti facevano parte dei consigli di amministrazione di aziende come Parmalat e Cirio anch’esse portate al crack. In un articolo pubblicato da Economy si dice che l'intero apparato delle società brasiliane, Tecnosistemi compresa, sarebbe servito a distrarre somme di denaro.

La vicenda dei lavoratori della Tecnosistemi, ma anche della Parmalat e Cirio, ci fa scoprire quella parte dell’imprenditoria fatta di uomini senza scrupoli che usano le aziende, che sono un bene della società, per distrarre ingenti somme a fini esclusivamente personali e in queste operazioni illecite le organizzazioni criminali possono trovare i loro interessi. La mattina ci si alza per andare a lavorare senza accorgerci che probabilmente siamo oggetto di uno sporco gioco tramato da pochi uomini senza scrupoli che non esiteranno a lasciare senza lavoro e quindi a distruggere la dignità e la vita di tanta gente onesta.
Giuseppe Martinez

giovedì 8 maggio 2008

Il Sacco di Palermo ha fatto scuola: sono arrivati "I Re di Roma"

Domenica 4 Maggio il programma televisivo "Report" ha mandato in onda una delle sue eccezzionali inchieste. Titolo della puntata: "I Re di Roma" di Paolo Mondani.
Un'altra volta, come spesso accade, ho valutato direttamente dal mio stato psico-fisico, generatosi immediatamente dopo la visione della puntata, la "bontà" del repotage. Anche stavolta sono stato male. Anzi, malissimo. Si è parlato dello stato in cui si trova l'Urbanistica italiana, delle regole che governano le città, del destino delle nostre città che non sembra essere più determinato dall'Amministrazione Pubblica attraverso la ricerca e l'esercizio dell'interesse collettivo, bensì dal mercato e dalla rendita fondiaria.
Il bastone di comando sembra sia passato definitivamente in mano agli speculatori finanziari, ai "palazzinari" che non possono avere altri scopi al di fuori del loro personale tornaconto.
Questo passaggio di testimone l'hanno permesso la nostra politica e i nostri cattivi Amministratori che hanno dimostrato di disconoscere totalmente quali sono le basi sui cui si fonda il loro ruolo istituzionale.

Nel caso specifico la puntata ha messo sotto esame la politica urbanistica della Capitale (per 15 anni di fila hanno governato Rutelli e Veltroni) e il suo nuovo P.R.G (Piano Regolatore Generale) da pocco approvato. Il nuovo strumento urbanistico prevede la costruzione di 70 milioni di metri cubi di nuova edilizia che consumeranno più di 10 mila ettari di suolo, in gran parte strappati alla campagna romana e in un contesto di crescita demografica uguale a zero.
L'idea che ha guidato le scelte di piano è stata quella di costituire dei quartieri satellite attorno alla città consolidata, oltre l'anello autostradale per delocalizzare quelle funzioni che oggi si affollano caoticamente nel centro di Roma: residenza, ma soprattutto uffici legati alle attività svolte da una città capitale. Il Problema sta nel fatto che le nuove "Centralità" verranno costruite nei terreni di proprietà dei grandi costruttori (Toti, Scarpellini, Ligresti, Caltagirone, Santarelli) che a colpi di "Accordi di Programma" stanno già ottenendo, in variante al PRG, ulteriori cubature da costruire. Sostanzialmente i costruttori/propietari dei terreni trovando più conveniente andare in deroga al PRG per costruire altri appartamenti invece che gli uffici, le nuove strade o scuole previste, chiedono al comune di modificare le previsioni del Prg impegnandosi di concedere all'Amministrazione un compenso in denaro. Con l'Accardo di Programma si costituisce quindi un tavolo di trattativa tra le parti in cui il privato fa sempre gli affari migliori. Secondo la normativa vigente le Varianti al Piano possono essere approvate solo nel caso in cui si sia dichiarata la "pubblica utilità" della modifica. Per questo motivo, a Roma, operazioni di mera speculazione fondiaria che sono servite soltanto a far costuire enormi cubi di cemento nell'agro romano (area dalla rilevanza archeologico-paesaggistica altissima), a far guadanare (?) palate di denaro e profitti strabilianti ai soliti noti, sono state spacciate come trasformazioni a vantaggio della collettività.
Eclatante ed emblematico il "caso Bufalotta". Periferia nord est, qui la sede scelta per la "Centralità" ricade nei terreni di propietà dei fratelli Caltagirone. I costruttori si accorgono che non riusciranno a vendere il milione di metri cubi di uffici, allora chiedono al comune un cambiento di destinazione, con l'accordo di programma; ottengono di poter costruire 5000 appartamenti in più al posto dei servizi e delle opere pubbliche in cambio di 80 milioni di euro elargiti al comune per prolungare di 4 chilometri la metropolitana. Peccato che per far arrivare fin lì la metro al comune costerebbe 600 milioni. Dov'è l'utilità pubblica?
Il servizio mette in evidenza come le scelte urbanistiche dell'Urbe (ma il caso potrebbe essere esteso a tutto il paese) siano determianate più dai costruttori e più per perseguire il profitto che non il bene collettivo.

Il servizio inoltre fa vedere come funzionano le cose a Parigi e Madrid, altre due capitali.
A Parigi, come a Madrid, il comune si comporta come un imprenditore che fa gli interessi del Pubblico, ed ha sempre l'ulltima parola sulle scelte urbanistiche. A lavorare sulla progettazzione e costruzione dei nuovi quartieri sono i migliori architetti della scena nazionale e non, dando vita a brani di città di elevatissima qualità estetica. Molta considerazione è affidata alle esigenze dei giovani e dei nuclei familiari a basso reddito (specie nel caso Madrid) e questo determina un forte impegno nei confronti della residenza pubblica che in questi paesi offre standard qualitativi che in Italia ci sognamo. C'è da dire che a Roma, come nel resto d'Italia, la costruzione delle case popolari è uguale a zero da più di ventanni comportando l'innalzamento dei canoni d'affitto e l'esplosione del mercato immobiliare e della rendita fondiaria.

A questo indirizzo troverete la puntata integrale. http://www.report.rai.it/R2_popup_articolofoglia/0,7246,243%5E1078257,00.html

P.S:Fin quando continuerà a mancare una Azione Pubblica efficace e moralmente integra, in Italia, i danni recati al nostro territorio e alle nostre città e alla qualità della nostra vita non cesseranno, ma saranno pochi "amici" a guadagnarci e sempre gli stessi personaggi.

lunedì 5 maggio 2008

Redditi 2005, Visco sfida il Garante

Oggi Repubblica ha pubblicato un interessante articolo di Carlo Bonini sulla vicenda delle dichiarazioni dei redditi.

Il legale di Visco nell'articolo spiega che il viceministro è tranquillo visto che il reato che viene ipotizzato, il trattamento illecito di dati personali, non può conoscere destino diverso che l'archiviazione. "Va da sé che rispettiamo il lavoro di un magistrato responsabile e capace come il procuratore aggiunto Franco Ionta - dice il legale di Visco - ma è altrettanto chiaro che in questa storia le procedure sono state rispettate e che chi oggi le contesta nel dibattito pubblico dovrebbe avere almeno l'onestà intellettuale non di cavillare, ma di dire con chiarezza agli italiani che non vuole che un principio di trasparenza fissato per legge nel lontano 1973 venga applicato. Si abbia insomma il coraggio di riconoscere che quelle norme non vanno più bene e che, negli anni scorsi, quando pure sono state applicate qualcuno dormiva".

Gli argomenti sostenuti dal difensore di Visco sono due. Il primo argomento insiste sul "principio di trasparenza e l'obbligo di pubblicazione" dei dati fissato dalla legge del 1973. Il secondo sulla "assoluta equivalenza tra lo strumento della carta stampata e Internet". Negli anni passati infatti i quotidiani hanno pubblicato elenchi completi di contribuenti e gli stessi quotidiani, da anni, diffondono i propri contenuti anche online. L'autore del pezzo fa notare che in occasione di questi precedenti il Garante non ha mai eccepito nulla.

http://www.repubblica.it/2008/04/sezioni/economia/redditi-online/visco-sfida-garante/visco-sfida-garante.html

Domani verrà pubblicata la decisione del Garante.

domenica 4 maggio 2008

Redditi 2005: giusto metterli sul web

E' facile prevedere come andrà a finire il braccio di ferro tra l'Agenzia delle Entrate e l'associazione Codacons. Alla fine vincerà l'erario: la scelta di pubblicare l'elenco dei contribuenti sul web è perfettamente lecita perchè gli elenchi sono pubblici. Le inchieste penali saranno quindi archiviate.

E' inutile rivolgersi alla magistratura:

1) innanzi tutto gli elenchi delle dichiarazioni dei redditi 2005 sono pubblici ai sensi dell’articolo 69 del Dpr 600 del 1973 e dell’articolo 66 bis del Dpr 633 del 1972. L'Agenzia ha il dovere di farli conoscere ai cittadini e quindi non era tenuta a informarne gli interessati. Infatti il consenso non deve essere chiesto quando il trattamento dei dati "è necessario per adempiere ad un obbligo previsto dalla legge" (art. 24, comma 1, lettera A del d.lgs 196 del 2003)

2) in secondo luogo per dimostrare la sussistenza del reato di violazione della privacy (art. 167 del d.lgs 196 del 2003) sarebbe necessario provare che i dirigenti dell'Agenzia delle Entrate hanno agito "al fine di trarne per sé o per altri profitto o di recare ad altri un danno". Ed è invece chiaro che chi ha messo i dati sul web ha agito in buona fede. La buona fede nel diritto penale si presume fino a prova contraria. Sarebbe compito del Pm convincere i giudici che i dirigenti dell'Agenzia hanno agito con la volontà specifica di trarne profitto o di danneggiare i contribuenti. Solo un dirigente masochista avrebbe dato via libera al provvedimento sapendo le polemiche scaturite: è chiaro che chi ha agito era in buona fede e quindi deve essere assolto.

Quello che lascia perplessi è l'atteggiamento del Codacons. L'associazione ha presentato una denuncia a 104 procure dando un enorme carico di lavoro ai Pm. Bastava rivolgersi alla sola Procura di Roma, l'unica competente. Coinvolgere le altre 103 è stato un atto inutile. Perchè farlo? Per apparire sui giornali? Per farsi belli agli occhi dei cittadini? Per sommergere di cartacce le Procure e costringerle ad aprire fascicoli inutili che verranno poi richiusi visto che solo il tribunale di Roma è competetente? Poi ci lamentiamo dei tempi biblici della giustizia...

In ogni caso presto si pronunceranno il Garante della privacy e il Gip di Roma. Spero che alla fine vinca il diritto: i dati devono essere rimessi sul sito dell'Agenzia e le indagini archiviate. E non dite che in questo modo la mafia sarà avvantaggiata nell'imporre il pizzo. Non ne hanno bisogno perchè usano già altri sistemi basati sul numero dei dipendenti e delle vetrine del negozio taglieggiato.

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LE RAGIONI DEL CONTENDERE. Gli elenchi delle dichiarazioni dei redditi 2005 sono stati resi pubblici ai sensi delle due norme citate sopra. In base a tali disposizioni le dichiarazioni devono essere liberamente consultabili. Il Codacons ne contesta però la pubblicazione sul sito dell'Agenzia affermando che le due norme sarebbero state implicitamente abrogate dalla legge 241 del 1990 ("legge sul procedimento amministrativo") nella parte in cui prevede che l'accesso ai documenti amministrativi sia subordinato alla presentazione di un'apposita richiesta.

La tesi del Codacons è chiaramente infondata. Tanto per cominciare se il legislatore avesse voluto abrogare queste due disposizioni di legge lo avrebbe fatto esplicitamente. In secondo luogo la legge 241 non può essere applicata alle dichiarazioni dei redditi. Questi documenti sono "pubblici" per legge e cesserebbero per ciò stesso di essere tali se la loro visione fosse subordinata a una richiesta di accesso.

mercoledì 23 aprile 2008

Numero chiuso a medicina: ecco quello che avviene in Eu


Alcune settimane fa il comitato "Costruiamo il domani" ha scritto una lettera al Parlamento europeo per sapere quali sono le modalità di ammissione ai corsi di laurea di Medicina in Europa. La lettera si inserisce all'interno di altre iniziative per la rimozione del numero chiuso (tra le più importanti segnaliamo il ricorso straordinario presentato nel dicembre 2007). Non tutti i paesi limitano l'accesso a medicina. In Austria non esiste il numero chiuso. In altri paesi, invece, il test si effettua dopo il primo anno (Francia).
Ecco la risposta inviataci dal dr. Jean-Louis COUGNON, capo divisione presso il Parlamento Europeo (direzione generale della comunicazione - unità "posta del Cittadino").
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Egregio Signore,

rispondo ai Suoi messaggi elettronici in cui richiede le modalità di ammissione ai corsi di laurea in Medicina vigenti nei Paesi dell'Unione europea.

[...]

L'opportunità di studiare medicina é soggetta a restrizioni in tutti gli Stati membri dell'UE, eccetto l'Austria. In Francia invece, sebbene non vi siano restrizioni all'accesso agli studi di Medicina, gli studenti devono superare un concorso prima che siano legittimati ad attendere il secondo anno.

La Direttiva del Consiglio 93/16/CEE sancisce che l'insegnamento medico di base nell'UE debba essere di almeno 6 anni ovvero 5.500 ore, con una supervisione universitaria. La maggioranza degli Stati membri si uniforma a questo requisito. Tuttavia, vi sono due Stati dove la durata minima é inferiore - Gran Bretagna (4 o 5 anni) e Svezia (5 anni e mezzo) e due dove questa durata minima é superiore - Finlandia (6 anni e mezzo) e Belgio (7 anni).

In alcuni Stati membri dell'UE, ai dottori é concessa la licenza d'esercizio della professione indipendente subito dopo aver compiuto i loro studi in medicina. [...] In altri Stati membri invece i dottori, dopo il conseguimento del diploma, iniziano un periodo transitorio di tirocinio post-laurea che, se completato in maniera soddisfacente, consente loro di espletare la funzione di dottore con licenza di medico indipendente. La durata di questo periodo di prova varia: é di 12 mesi in Gran Bretagna e Irlanda (ciò che consente loro di soddisfare il requisito di base della Direttiva europea) ma é di 18 mesi in Germania, Portogallo e Svezia. Nel Lussemburgo, il Ministero della Salute concede l'autorizzazione a esercitare la professione sulla scorta di un diploma conseguito in un'altro Stato membro (il tirocinio post-laurea non é consentito in Lussemburgo). Il conferimento della licenza da solo non significa che il dottore sia ammesso in automatico nel Sistema Sanitario Nazionale. Il prerequisito per i sistemi previdenziali pubblici così come per i sistemi di Cassa Malattia é un tirocinio aggiuntivo specifico in Medicina generale ovvero specialistico. In Francia, Finlandia e Austria, la concessione di una licenza medica é conferito solamente dopo aver compiuto un tirocinio specifico per la licenza in Medicina generale ovvero per quella specialistica. Per cui, non si avranno dei dottori veri e propri in quei Paesi che ottengono solo un "approvazione", vale a dire che sono legittimati ad esercitare la professione medica indipendente solo quei dottori che abbiano completato il loro tirocinio come Medici generici o in quanto specialisti.

La Direttiva del Consiglio 93/16/CEE stabilisce che un Medico generico che intenda esercitare la propria professione in seno al Sistema Sanitario Nazionale debba fornire prova di una specializzazione post-laurea. Al momento, un periodo minimo di 2 anni é richiesto in Finlandia, Italia e Belgio, mentre 2 anni e mezzo in Francia. I Medici generici in Svezia in genere si sottopongono spontaneamente ad una specializzazione della durata minima di 5 anni in un Consultorio familiare. Una specializzazione di 3 anni é richiesta invece in Grecia, Spagna, Portogallo, Olanda, Irlanda e Austria. In Danimarca, la durata della specializzazione é di 3 anni e mezzo. In Germania infine, il pre-requisito é di 4 anni per la "specializzazione" in Medicina generale, inclusi i 18 mesi del periodo d'"Approvazione".

Il Portale europeo della cultura provvede ad informare i cittadini sulle attività in corso nei diversi settori interessati, tra cui anche la medicina. Pertanto, La invito a consultare con regolarità il Portale, disponibile in inglese, francese e tedesco, all'indirizzo qui di seguito indicato:
http://ec.europa.eu/culture/portal/index_en.htm

La prego gradire i miei più cordiali saluti.

Jean-Louis COUGNON, capo divisione presso il Parlamento Europeo (direzione generale della comunicazione - unità "posta del Cittadino").

mercoledì 16 aprile 2008

Rifiuti a Brancaccio, il Comitato presenta una proposta di riqualificazione‏

Alessandro ArcobassoUna copia al sindaco Diego Cammarata, una al Prefetto Trevisone e una al presidente dell'Amia. Il Comitato dei residenti di Brancaccio ha raccolto 200 firme per dire basta alla discarica abusiva sorta in via Conte Federico.
Lunedì, insieme alla petizione è stato consegnato anche un voluminoso dossier contenente una rassegna fotografica, la raccolta degli articoli giornalistici usciti negli ultimi tre mesi e alcuni bozzetti di riqualificazione della zona, realizzati da uno studente di Urbanistica residente nella circoscrizione, Angelo Priolo.

Al Sindaco e al presidente dell'Amia chiediamo di investire a Brancaccio con un intervento strutturale e non con le solite bonifiche, che non sono idonee a risolvere il problema e che rappresentano una spesa rilevante per le casse dell'Amministrazione.
Pensiamo che sia inutile rimuovere i rifiuti senza predisporre strumenti per impedire il ripetersi del fenomeno. Basterebbero qualche alberello, un paio di aiuole e le telecamere per riqualificare la zona e impedire il riformarsi della discarica. Eppure il Comune finora non ha preso in considerazione questa possibilità.
Già in passato avevamo scritto all'Amia chiedendo di installare un impianto di videosorveglianza ma l'Azienda di via Nenni ha ignorato sistematicamente le richieste, senza fornire le ragioni del proprio comportamento. Nel frattempo non ci siamo arresi, abbiamo realizzato il blog www.palermodiscarica.blogspot.com ‏e avviato una campagna d'informazione che ha avuto notevole spazio sui quotidiani locali.

L'unica nota positiva della vicenda è la disponibilità mostrata dall'Ufficio di Gabinetto del Sindaco, che il 13 marzo scorso ha chiesto all'Assessore comunale all'Ambiente, Francesca Grisafi, e al Comandante della Polizia Municipale, Nunzio Purpura, la propria disponibilità per un incontro urgente con il comitato dei residenti. Da allora è passato un mese e gli interessati non si sono fatti sentire.
Speriamo che con il sopraggiungere dell'estate qualcosa cambi, perché la situazione rischia di sfuggire di mano.

mercoledì 9 aprile 2008

Numero chiuso, pubblicato in Gazzetta il maxiricorso Udu

"Costruiamo il domani" pubblica un riassunto del maxiricorso al Tar Lazio, presentato dall'associazione studentesca Udu, in cui si chiede l'annullamento dei test di medicina. L'estratto è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 27 marzo 2008 per consentire ai ricorrenti di non dover notificare il ricorso ai singoli controinteressati. Dal testo possiamo ricavare le censure e le argomentazioni sottoposte all'attenzione del Collegio.


Sono sette i motivi per i quali viene chiesto l'annullamento dei test. Li potete trovare nei file pubblicati sotto.

L'Università si fa "onore"

E’ stato premiato al 36 ° Salone Internazionale delle Invenzioni di Ginevra, svoltosi dal 2 al 6 aprile u.s., il brevetto, presentato dall’Industrial Liason Office, che porta la firma di Mariano Licciardi, Gaetano Giammona, Gennara Cavallaro e Giovanna Pitarresi, docenti della Facoltà di Farmacia dell’Università di Palermo; tale brevetto riguarda la creazione di sistemi polimerici per la somministrazione orale (tramite ad es compresse) di proteine e peptidi, che eviti la loro somministrazione attraverso iniezione.

La Giuria Internazionale, composta da 82 specialisti di differenti settori (dalle telecomunicazioni alla medicina) ha esaminato, ciascuno per le proprie competenze, oltre 1000 invenzioni e conferito 47 tra premi e riconoscimenti, oltre a medaglie d’oro, d’argento o di bronzo. Il brevetto, nato nella Facoltà di Farmacia, ha ricevuto apprezzamenti dall’intera Giuria e agli inventori è stata consegnata una coppa quale Premio della Delegazione Italiana del Salone di Ginevra. Inoltre la Giuria Internazionale ha consegnato agli inventori una medaglia d’oro, corredata dai complimenti della Giuria stessa.

Tratto dal Sito istituzionale Facoltà di Farmacia

venerdì 4 aprile 2008

I Farmaci

Con quello di oggi inizia un percorso “ambizioso” ma al tempo stesso realizzabile: quello che vuole sensibilizzare gli utenti quotidiani dei farmaci nei confronti delle sostanze da essi stessi assunte. Tale percorso è sicuramente complesso per i molteplici aspetti che sarebbero necessari da affrontare, ma ciononostante proverò a semplificare il tutto in maniera tale da rendere comprensibili a tutti gli argomenti che da qui in poi tratteremo. Nel fare ciò, ho deciso di avvalermi della consulenza della new entry del nostro blog, Alessandra Castrogiovanni, studentessa al 5o anno di Medicina e Chirurgia e a cui do il benvenuto tra noi.. Nella speranza di rendervi un servizio utile, iniziamo la nostra trattazione.

Farmaco: aspetti generali

Per farmaco si intende qualsiasi sostanza neo sintetizzata o d’estrazione in grado di esercitare una determinata azione sull’organismo tale da permettere la remissione di una patologia o la prevenzione nella comparsa di una specifica malattia (si pensi ai vaccini per esempio). Secondo la legislazione italiana (DL 178 del 29 Maggio 1991) è da intendersi come medicinale ogni sostanza preparata come avente proprietà curative o profilattiche delle malattie umane od animali, nonché ogni sostanza che è somministrata all’uomo o all’animale allo scopo di stabilire una diagnosi medica, di ripristinare, correggere o modificare funzioni organiche anomale”. Tale azione è possibile poiché il farmaco riesce a legare specificatamente (ma spesso non selettivamente) un recettore ossia un qualsiasi bersaglio (enzima, dna, recettori cellulari) cui il farmaco è in grado di attivare o disattivare una particolare funzione.

Da un punto di vista etimologico si pensa che la parola “farmaco” derivi dal greco pharmacon che vuol dire rimedio ma al tempo stesso anche veleno. Tale termine riesce dunque a raccogliere in sé un aspetto fondamentale di tutti i trattamenti farmaceutici: non esiste alcun farmaco che sia al 100% sicuro per l’uomo. Ogni medicamento infatti, se assunto a dosi eccessive o in situazioni di non necessarietà può comportare l’insorgenza di patologie e dunque trasformarsi da rimedio a veleno (torneremo a trattare più approfonditamente questo aspetto tanto importante nei successivi interventi). Tale dicotomia s’è mantenuta nel termine inglese “drug”.

Composizione

Il componente più importante di un farmaco è il suo principio attivo (tanto che in senso stretto il concetto di “farmaco” coincide proprio con quello di principio attivo) ossia quella particolare molecola (o insieme di tali) in grado di determinare un effetto farmacologico e dunque terapeutico. Per potere esplicare la sua funzione, il principio attivo deve essere “veicolato” presso il sito che è sede della patologia: ma poiché spesso tali siti sono inaccessibili direttamente, risulta essere impossibile introdurlo “nudo” in queste zone (ad esempio un ipoglicemizzante che deve raggiungere il pancreas). Anche da tale esigenza nascono le forme farmaceutiche ossia sistemi mono o plurifasici, costituiti da uno o più principi attivi e da un insieme di sostanze chiamate eccipienti, progettati per veicolare una nuova entità chimica (NCE) o un farmaco già noto.

Gli eccipienti sono spesso definiti quali sostanze ausiliarie di una forma farmaceutica sebbene la loro importanza resti fondamentale: questi servono a conferire forma e volume al preparato medicinale ma al tempo stesso possono svolgere una più precisa funzione quale stabilizzante, bagnante, solubilizzante, disgregante, antimicrobico, etc etc. Mediante la loro azione viene dunque garantito al principio attivo il raggiungimento del sito d’azione e dunque il suo corretto assorbimento e distribuzione, nonché garantiscono la corretta conservazione del medicinale prima e dopo il suo utilizzo.

Come nasce una nuova entità chimica

Uno degli aspetti più interessanti riguarda la scoperta la realizzazione di un nuovo medicamento. E’ infatti opportuno sfatare un mito: esso non nasce immediatamente, ma dapprima viene progettata la sua porzione avente proprietà farmacologica (il principio attivo), quindi si passa a risolvere problematiche di tipo tecnologiche con studi di preformulazione e di formulazione (studi riguardanti la creazione di opportune forme farmaceutiche).

Il disegno di NCE rappresenta poi uno dei più complessi eventi nella progettazione di una nuovo farmaco. È possibile avere due approcci in tal senso:

* Basato sulla struttura del bersaglio

* Approccio farmacoforico.

Nel corso del primo, si sfruttano le conoscenze acquisite durante studi precedenti circa il recettore da colpire. In questo caso è dunque fondamentale conoscere la struttura chimica del bersaglio a partire dalla quale verrà disegnato il farmaco. Questo processo di drug design risulta essere possibile per la natura intrinseca del farmaco stesso ossia per il fatto che questi, per potere agire, deve potersi collocare nella porzione del recettore definita sito di riconoscimento in maniera “chimicamente complementare”, cioè in modo da stabilire delle interazioni tra i propri “atomi”, o per meglio dire gruppi funzionali, e quelli del bersaglio. Nota dunque la struttura del recettore è possibile disegnare mediante metodi computerizzati molecole in grado di allocarsi in tali siti stabilendo interazioni più o meno forti. Quella molecola (o famiglia di molecole) in grado di determinare una maggiore energia di legame (energia di binding) sarà appunto il farmaco più attivo. Questo però non significa avere il migliore farmaco per la cura di una patologia perché la maggiore attività potrebbe coincidere con un legame troppo duraturo e dunque con possibile tossicità del farmaco insorta a causa del fatto che, non rompendosi facilmente tale legame, esso resiste anche dopo la remissione della patologia facendo insorgere delle reazioni avverse (ADR). Per questa ragione sono fondamentali gli studi clinici (clinical trials) necessari infatti per richiedere al Ministero della Sanità l’autorizzazione all’immissione al commercio del farmaco.
Questo tipo d’approccio non risulta però scevro da limiti: da un lato, spesso le metodologie che portano a conoscere la struttura chimica del recettore sono molto costose; dall’altro, molti meccanismi d’azione dei farmaci si spiegano solo se questi ultimi ritrovano il proprio bersaglio direttamente all’interno dell’organismo umano, dunque la loro azione risulta essere “denaturata” qualora vengano testati al di fuori dell’ambiente biologico umano.

Per questa motivazione esiste un secondo approccio, quello farmacoforico effettuato senza “estrapolare” il bersaglio dal mezzo biologico. In un farmaco è infatti possibile distinguere una porzione molto importante che prende il nome di porzione farmacofora: si tratta di quella particolare parte della molecola che è responsabile dell’azione terapeutica del principio attivo stesso. Alle volte questa coincide con un piccolo gruppo di atomi (gruppo funzionale), altre con una porzione ancora più complessa. Dunque se si conosce una molecola avente proprietà farmacologiche e se ne vuole potenziare l’attività è possibile ricorrere a sostituzioni di atomi o molecole facenti parte del principio attivo (mediante studi abbastanza complessi che qui non trattiamo) al fine di migliorare il binding farmaco-recettore e dunque aumentare l’attività del composto stesso. Ciò però è possibile ad una sola condizione: infatti non si deve modificare la porzione farmacofora del principio attivo stesso (se non mediante sostituzioni bioisosteriche cioè con gruppi che determinano il medesimo effetto biologico) pena la perdita della proprietà terapeutiche del farmaco stesso.

In media si calcola che soltanto poche molecole sulla tante proposte durante la fase di disegno dei farmaci possono realmente candidarsi a nuovi farmaci: ciò è testimoniato dall’elevata durata della fase di ricerca e sperimentazione (almeno 10 anni) nonché dagli altrettanto elevati costi (circa 100 milioni di dollari)

La sperimentazione

Prima di essere testate sull’uomo, le nuove molecole “candidate a farmaco” vengono sottoposte a studi pre-clinici, ovvero una serie di prove sia in vitro che in vivo, indispensabili per determinarne il meccanismo d’azione e la cinetica. E’ opportuno sottolineare come, in questa fase della sperimentazione, spesso – purtroppo - sia indispensabile l’utilizzo di animali da esperimento (topi, ratti, cani, conigli, e – più raramente - scimmie): infatti, se, ad esempio, per testare un farmaco antivirale sarà sufficiente utilizzare una coltura cellulare, lo stesso non può dirsi per un antidepressivo. I test in vivo sono pertanto irrinunciabili in Psicofarmacologia, anche se, ovviamente, i risultati non debbono essere applicati in maniera acritica al modello umano. Negli animali da esperimento, vengono inoltre studiate le caratteristiche tossicologiche del farmaco, secondo linee guida stabilite dalla Food and Drug Administration americana e dalla analoga Agenzia Europea, affinché, eventuali effetti collaterali o tossici del farmaco vengano evidenziati ancora prima dell’utilizzo sull’uomo della molecola stessa. Infatti, terminata la fase pre-clinica della sperimentazione, hanno inizio gli studi clinici, condotti in 4 fasi successive

  • Gli studi di fase 1 (durata: circa un anno) vengono condotti previa autorizzazione del Ministero della Sanità ed hanno lo scopo di valutare i meccanismi di farmacodinamica, farmacocinetica, metabolismo, biodisponibilità ed, eventualmente, l’insorgenza di effetti collaterali (dovuti all’azione della molecola su altri organi o altre funzioni dell’organismo). Obiettivo importante di questa fase è quello di definire la tollerabilità del farmaco (dose minima efficace, dose massima tollerata): infatti può accadere che il farmaco risulti efficace negli studi pre-clinici a dosi tossiche per l’uomo. Ci si avvale di un gruppo di volontari sani (60-80 soggetti) preferibilmente di sesso maschile, affinché i risultati degli studi non vengano inficiati dalle cicliche fluttuazioni dei valori ormonali femminili.
  • Se non sono stati messi in evidenza effetti collaterali di una certa entità, si prosegue con gli studi di fase 2 (durata: 2-3 anni): questi hanno l’obiettivo di indagare meglio la farmacocinetica del farmaco, al fine di migliorarne gli effetti terapeutici nei riguardi della patologia da curare. Inizia quindi, in centri ospedalieri selezionati e sotto il controllo di un comitato etico, la ricerca controllata nei pazienti (che devono essere informati puntualmente degli effetti del nuovo farmaco e dei potenziali rischi previsti, e firmare una dichiarazione di consenso informato), al fine di stabilire la dose efficace.
  • Con gli studi di fase 3 (durata: da 2 a 6 anni) studiamo in maniera ancora più approfondita il rapporto rischio/beneficio del nuovo farmaco. Essi sono in genere "progettati come ricerche internazionali e multicentriche" (quindi molto costosi) e condotti su un grande numero di pazienti (1000 – 3500), molto simili per età, distribuzione geografica e sesso a quelli che riceveranno il nuovo trattamento. Quest’ultimo, nei cosiddetti studi a doppio cieco, viene confrontato con un placebo, una sostanza farmacologicamente inerte, o, se ciò non fosse possibile per problemi etici, con un farmaco già noto. Scopo della fase 3 è quello di confermare la tollerabilità e l’efficacia del farmaco e di stabilirne il profilo terapeutico e cioè: posologia, indicazioni, controindicazioni, precauzioni di impiego ed effetti collaterali. In questa fase, inoltre, sarà possibile portare alla luce eventuali interazioni della nuova molecola con “vecchi farmaci”, sostanze di origine alimentare e/o fattori ambientali (luce solare, temperatura etc.). Superata la fase 3, il farmaco può, finalmente, essere immesso in commercio. Siamo quindi in fase 4.
  • Nella cosiddetta fase 4, il farmaco è costantemente tenuto sottocontrollo affinché ogni eventuale effetto indesiderato sfuggito alle precedenti fasi della sperimentazione possa essere agevolmente monitorato. Infatti, effetti collaterali non comuni o a lunga latenza possono anche manifestarsi dopo qualche anno dall’epoca di immissione del farmaco nel mercato. Secondo il D. Lgs. 44 del 18.02.97, il quale regola la Farmacovigilanza (di cui avremo modo di parlare in maniera più approfondita), ogni operatore sanitario è tenuto a segnalare l’insorgenza di reazioni avverse precedentemente misconosciute, fermo restando che spesso è molto difficile identificarli con certezza e questo perché il paziente con il quale il farmaco va ad impattare, superata la fase 3, è quasi sicuramente più complesso rispetto al paziente sul quale il farmaco è stato sperimentato (vedi Limiti della sperimentazione). È possibile rintracciare la presenza di fattori che possono agire sia come fattori di confondimento – per così dire – che come concause. Questi sono, ad esempio, l’assunzione di più farmaci (condizione che si verifica sempre più spesso), l’evolvere della patologia di base, la presenza di patologie concomitanti, le condizioni ambientali, la variabilità da individuo a individuo; essi, nel ruolo di concause, possono agire modificando la risposta dell’organismo al farmaco e determinando quindi alterazioni di quella farmacodinamica e di quella farmacocinetica studiate in corso di sperimentazione. Gli studi di fase 4 sono stati riconosciuti - e regolamentati - dal Ministero della Sanità come studi osservazionali (circolare 2 settembre 2002 n.6).

I limiti nella sperimentazione:

Per quanto accurata possa essere l’intera fase di sperimentazione anche questa presenta diversi limiti qui sotto sintetizzati:

Breve durata della sperimentazione:
vale per i farmaci che saranno assunti per un periodo molto prolungato (diversi anni o addirittura tutta la vita), poiché questo periodo d’assunzione non è assolutamente confrontabile con quello reale del farmaco

Popolazione selezionata: nell’interesse dello sperimentatore, onde ottenere dei dati generali ed il più possibile attendibili, vengono esclusi dalla sperimentazione pazienti con particolari fattori di rischio quali neonati, anziani, donne in stato di gravidanza, pazienti affetti da polipatologie, ecc ecc

Indicazione ristretta: il farmaco sarà sperimentato sull’uomo in base alla sola indicazione per cui è stato disegnato. Dunque proprietà farmacologiche secondarie (che possono essere più importanti di quelle per cui il farmaco era stato pensato) non verranno valutate

Ambiente della sperimentazione: essa avviene in enti ospedalieri e dunque al di fuori dei contesti sociali dove la maggior parte dei farmaci verranno assunti dai pazienti

Numero ristretto dei pazienti: il numero di soggetti su cui un farmaco viene studiato non supera mai le 5000-6000 unità il che significa che la possibilità di avere il 95% di probabilità di comparsa di una reazione avversa risulta molto esigua.

I brevetti

Le stime statistiche testimoniano un dato molto importante: nei 20 anni trascorsi tra il 1966 e il 1985il 98% delle NCE proviene dalle industrie (dunque da istituti privati) e solo il 2% dalle università (enti pubblici). Questo pone una questione abbastanza importante nell’ambito farmaceutico: la necessità da parte degli “investitori privati”di recuperare ciò che hanno investito in tema di ricerca più un certo surplus che può esser riutilizzato per investire in altra ricerca. Da qui nasce l’esigenza di brevettare le nuove sostanze per potere gli investimenti affrontati nel corso degli anni. Tale brevetto deve rispondere ai requisiti di novità, originalità ed industrialità.

È possibile ricorrere a vari tipi di brevetto:

Brevetto di prodotto: viene protetto uno specifico principio attivo indicandone il nome della struttura chimica,o, nel caso in cui questa non sia facilmente reperibile o possa dare adito a confusione, specificando il metodo di sintesi oppure la caratterizzazione chimico-fisica. Esso comprende:

§ Brevetto di selezione: protegge una singola famiglia di molecole o addirittura una molecola soltanto

§ Brevetto di procedimento: tutela solamente il processo di sintesi di una data molecola poiché, sebbene con rese diverse, esistono sempre possibilità diverse per sintetizzare uno stesso principio attivo

§ Brevetto di sinergismo: quando un farmaco A, assunto in concomitanza ad uno B produce un effetto terapeutico maggiore

§ Brevetto di indicazione: è relativo alla scoperta di una nuova indicazione per un farmaco già in uso. Ciò avviene poiché la sperimentazione clinica presenta tra i suoi limiti l’essere testato solo ed esclusivamente per una singola patologia.

§ Brevetto di formulazione: corrisponde ad una nuova forma di somministrazione del principio attivo e dunque ad una uova forma di dosaggio

In linea di massima sarebbe anche possibile un brevetto di sbarramento che proteggerebbe una intera famiglia di composti caratterizzati da uno stesso gruppo funzionale ma ciò imporrebbe un limite vero e proprio ala ricerca: volendo usare un paragone alquanto azzeccato, appreso durante il corso di farmacovigilanza, “sarebbe come se un inventore brevettasse genericamente lo yogurt e poi fosse impossibile per un altro brevettare lo yogurt alla frutta. Tuttavia tale brevetto risulta legale qualora la formula di struttura si riferisce ad una sola classe di sostanze.

Normalmente una industria farmaceutica brevetta la NCE prima di ricevere l’autorizzazione a procedere ai clinical trials da parte del Ministero della Sanità: dunque almeno dieci/dodici anni prima della possibile immissione in commercio della molecola. Poiché ogni brevetto ha una durata massima di 20 anni, resterebbero, nella peggiore delle ipotesi, soltanto 8 anni all’industria per potere recuperare le spese impiegate in tema di ricerca. Ciò significherebbe imporre un prezzo troppo eccessivo sul farmaco stesso. Per tale ragione è stato introdotto il Certificato di protezione supplementare (CPS) che estende la durata del brevetto per un periodo pari a quello trascorso tra la domanda di brevetto e l’autorizzazione all’immissione al commercio, imponendo però come durata massima d’estensione 5 anni. In italia in precedenza esisteva un Certificato di protezione complementare (CPC) avente la stessa funzione del CPS ma la cui durata massima era di 18 anni. Ciò ha però notevolmente limitato lo sviluppo di farmaci generici ossia di farmaci che possono essere acquistati ad un costo inferiore rispetto alla sua controparte commerciale.

Articolo ideato e scritto a quattro mani con Alessandra Castrogiovanni

lunedì 31 marzo 2008

Un decalogo per il Paesaggio

Intervista apparsa su "La Repubblica" (26 Marzo) ad Asor Rosa, concentra l'attenzione sulla assenza nella agenda politca di alcune questioni fondamentali per il Paese: Ambiente, Territorio, Paesaggio. Questi tre temi non sono avulsi o slegati dalla concreta realtà della nostra vita, ma rappresentano tre "grandi insiemi" di risorse da cui far scaturire sviluppo, modernità, qualità della vita, finenze ed attività economiche. Questo stato delle cose, questa "visione", la nostra miope classe politica non l'ha ancora ben percepito. Il Risultato più evidente ed immediato di questo (lo spero) momentaneo disinteresse per tali questioni è quello di dover assistere alla campagna elettorale più magra nei contenuti degli ultimi vent'anni.
Se questo disinteresse, però, invece di essere dettato dall'attuale ed eccezionale situazione politica (che ha generato scompiglio e concentrazione dei tempi) si dimostrasse sintomo di una patologia cronica dei nostri politici, le conseguenze per il nostro Paese sarebbero ben più gravi di una noiosa battaglia politica.

Già in Eddyburg.it
Autore: Erbani Francesco

Un decalogo per ambiente, territorio e paesaggio. Dieci questioni - dal tumultuoso incedere del cemento alle politiche energetiche, dai rifiuti alla tutela dei beni culturali - che la rete dei Comitati toscani, nata dopo la denuncia dello scempio di Monticchiello, in Val d´Orcia, ha messo a punto in questi giorni di campagna elettorale, imputando un po’ a tutti gli schieramenti un caduta di tensione. È un documento composito, che va anche oltre la scadenza del voto, una delle prime elaborazioni della vasta ramificazione di comitati che dalla Toscana si è estesa in altre regioni - le Marche, l’Umbria, la Liguria, il Veneto, la Lombardia - coinvolgendo ormai parecchie migliaia di persone.
«Partiamo dalla premessa», spiega Alberto Asor Rosa, che della rete è stato il promotore, «che l’ambiente, in un paese ricco di eredità, ma fragile e vulnerabile, è al tempo stesso un bene primario e un obiettivo primario. Detto in altri termini: è il metro di misura da cui far discendere la credibilità e la sostenibilità di ogni programma elettorale».

E ciò non sta accadendo, a vostro avviso?
«Assolutamente no. Qualcuno parla di ambiente e di territorio, ma sembra di ascoltare discorsi che stanno a distanze siderali dai problemi reali. Molti non ne parlano per niente».
Un panorama desolante.
«Nel quale, però, salutiamo con favore l’approvazione delle modifiche al Codice dei Beni culturali. Nonostante alcuni compromessi, dovuti al braccio di ferro fra il Ministero e le Regioni, la nuova versione del Codice contiene meccanismi chiari di protezione del paesaggio, sottraendoli al puro arbitrio comunale e regionale. Le battaglie condotte dalla nostra rete sono fra quelle all’origine di questo ripensamento».
Voi siete favorevoli a un maggior accentramento delle competenze in fatto di tutela?
«La protezione del paesaggio è un processo che riguarda tutti i livelli istituzionali, Stato centrale e Regioni. La Convenzione europea prevede che siano le popolazioni le protagoniste di questa attività, e non solo le popolazioni che risiedono in quei luoghi. Per dirla semplicemente: la tutela della Val d’Orcia è una questione che riguarda anche chi abita in Sicilia. E lo Stato ne è garante. L´idea che a decidere siano solo i residenti o i politici del posto oltre agli interessi economici più immediati è aberrante. E lo è ancora di più quando si spaccia questo per partecipazione».
Uno dei punti chiave del vostro documento è l´arresto del consumo di suolo.
«L’espansione edilizia degli ultimi anni ha assunto proporzioni inimmaginabili. I dati dimostrano che è ormai scollegata da ogni esigenza abitativa. Noi chiediamo che prima di consumare altro suolo, per ogni bisogno che vada al di là di necessità sociali (le case per i giovani o per gli immigrati, per esempio) si riutilizzino strutture esistenti. Non si può spacciare per modernità la costruzione di seconde, terze e quarte case, di villaggi turistici abitati un mese l’anno, di centri commerciali che paralizzano il traffico».
Ma i Comuni sostengono che senza i soldi che incassano grazie a queste concessioni edilizie non possono andare avanti, non hanno fondi per gli asili o anche per pagare gli stipendi.
«È un gioco perverso. Un cortocircuito. Da una parte si incassano soldi, ma poi si dilata sempre più il territorio urbanizzato per cui servono sempre più servizi. E ancora più soldi. La verità è che l’imprenditoria privata è in grado, anche nelle regioni amministrate dal centrosinistra, di imporre scelte urbanistiche ambientalmente distruttive».
Un altro capitolo del vostro documento è dedicato alle grandi infrastrutture...
«...che concorrono a modernizzare l’Italia e a promuovere il suo sviluppo solo se inserite in una programmazione complessiva. E solo - mi permetta un’osservazione apparentemente banale - se fatte bene: l’Italia abbonda di infrastrutture mai terminate o che si sono rivelate del tutto inadeguate. La verità è che dietro alle spinte per realizzare le cosiddette Grandi Opere ci sono interessi di imprese. Prenda la vicenda dell’Autostrada tirrenica, che la Regione Toscana vuole assolutamente realizzare rifiutando l’ipotesi di ammodernare e potenziare l’Aurelia. Noi chiediamo che venga rivista profondamente la Legge obiettivo e che torni la valutazione di impatto ambientale, che ora è limitata al solo progetto definitivo di un’opera».
Voi chiedete la valutazione di impatto ambientale anche per gli impianti che producono energia alternativa.
«Certamente. Noi vogliamo promuovere le fonti energetiche rinnovabili, l’eolico, il solare, insieme a programmi seri di risparmio e di efficienza. Ma la condizione per realizzare impianti energetici è la loro compatibilità con l’ambiente e con il paesaggio. Intere zone della Toscana sono devastate da un uso improprio, fortemente speculativo, delle risorse geotermiche».
Tutti i punti del vostro decalogo si sintetizzano in una richiesta: maggiore partecipazione. Non si rischia in questo modo di allungare i tempi di approvazione di qualunque opera?
«Non confondiamo. Le lungaggini sono di ordine burocratico e amministrativo. Quello che chiediamo è che le associazioni e i comitati possano partecipare alle decisioni che sempre più frequentemente avvengono fuori della pianificazione ordinaria, al riparo da qualunque discussione o dibattito. Le scelte che riguardano stravolgimenti territoriali non possono essere prese nel chiuso di una stanza, lontano anche dai Consigli comunali o regionali, e poi comunicate ai cittadini interessati. Il nostro è un progetto di una democrazia territoriale partecipata».

LA RETE DEI COMITATI PER LA DIFESA DEL TERRITORIO

SI RIVOLGE ALLE FORZE POLITICHE CHE SI PRESENTANO ALLE PROSSIME CONSULTAZIONI POLITICHE GENERALI PER IL GOVERNO DELL’ITALIA

La Rete dei Comitati per la difesa del territorio, nata in Toscana due anni or sono, ma ormai in fase di diffusione sull’intero territorio nazionale, ha scelto di non partecipare alle prossime consultazioni politiche generali del 13 e 14 aprile prossimi e di non dare indicazioni di voto.
Considera tuttavia tale scadenza come importantissima, forse decisiva, per le questioni dell’ambiente e del territorio italiano; e chiede perciò alle forze politiche che vi si presentano, di pronunciarsi sulle questioni che ora noi sottoponiamo loro.
È fin troppo facile, infatti, constatare che, nei programmi di governo fin qui presentati, e nel confuso dibattito che ne è seguito, i temi riguardanti l’ambiente e il territorio italiani sono stati proiettati a distanze siderali da quelli più intensamente affrontati (qualche forza politica non si prova neanche ad affrontarli).
Al contrario, la posizione della Rete insiste su questa primaria e fondamentale

PREMESSA

L’ambiente (il territorio, il paesaggio, i beni culturali, le condizioni della vita, individuale e associata, in tutte le sue forme) rappresenta, in un paese ricchissimo di eredità di ogni tipo ma al tempo stesso fragile e vulnerabile come l’Italia, il bene primario, il problema primario, l’obiettivo primario: il metro di misura, dunque, da cui far discendere la credibilità e sostenibilità dei programmi considerati nel loro complesso (e non viceversa, come solitamente accade).
Accanto all’ambiente noi porremmo, per motivi che si possono facilmente cogliere, quelli della formazione e della ricerca: temi che meriterebbero un discorso a parte, e su cui intendiamo ritornare, ma che abbiamo voluto semplicemente evocare perché fosse chiaro il quadro delle relazioni e della complessità, cui facciamo riferimento.

SEGNALI DI CAMBIAMENTO

Prima di entrare nel merito, tuttavia, la Rete sente il bisogno-dovere di salutare l’approvazione del nuovo Codice del Paesaggio, elaborato dalla Commissione coordinata da Salvatore Settis e sostenuto dal Ministro dei Beni Culturali Francesco Rutelli, come un segnale positivo, che inaugura una strada da difendere e rafforzare. Nonostante alcune mitigazioni, seguite al braccio di ferro tra Ministero e Regioni, tale Codice contiene infatti meccanismi chiari e ineludibili di protezione e controllo del paesaggio italiano, sottraendoli al puro arbitrio comunale, provinciale e regionale. Non è secondario per i comitati affiliati alla Rete rilevare che le battaglie da essi sostenute, dallo scoppio del caso Monticchiello in poi (agosto 2006), sono state alla base del processo che ha portato a tale approvazione. È lecito dubitare che ciò sarebbe accaduto se i Comitati non avessero infuso nuova linfa nel movimento ambientalista italiano.
Allo stesso ordine di fattori va ricondotta l’approvazione di quell’emendamento alla Finanziaria 2008, che stanzia una somma rilevante (15.000.000 di euro per tre anni) al fine di demolire insediamenti particolarmente rovinosi all’interno dei siti UNESCO, quand’anche autorizzati.
È la testimonianza che nulla è veramente irrimediabile e che il nesso movimenti-istituzioni può essere totalmente ricostruito su nuove basi, se la spinta è abbastanza forte per farlo.
Si tratta, ovviamente, solo delle manifestazioni iniziali di un processo, che avrà bisogno, per svilupparsi, di una grande chiarezza ideale e di una somma di energia straordinaria, destinata a svilupparsi per canali inusitati rispetto ala vecchia tradizione politico-partitica.
In questa direzione si muovono i seguenti dieci punti, che sottoponiamo per ora all’attenzione delle forze politiche impegnate nella campagna elettorale, chiedendo che esse si pronuncino sul loro spirito e sui loro obiettivi.

PUNTI DI PROGRAMMA

1. Modernità e sviluppo
Le parole ‘modernità’ e ‘sviluppo’ ricorrono nei programmi elettorali dei partiti e in molte regioni sono il viatico di politiche che riguardano l’utilizzazione del territorio e delle sue risorse.
Non è modernità, tuttavia, proseguire o addirittura incrementare il consumo dei suoli non edificati a fini speculativi; non è sviluppo la costruzione di seconde, terze, quarte case e villaggi turistici che distruggono il paesaggio, la grande casa comune degli italiani; non è né sviluppo né modernità la proliferazione di centri commerciali che incrementano il traffico automobilistico e innescano nuove urbanizzazioni in località periferiche. In sintesi, non crea ricchezza durevole il consumo di risorse territoriali senza un progetto adeguato alle sfide del nostro tempo.
Analogo discorso vale per la costruzione di infrastrutture di trasporto, la produzione di energia, lo smaltimento dei rifiuti. La loro programmazione settoriale, la ricerca di fonti energetiche alternative senza una valutazione del loro impatto sistemico, il ricorso esasperato al project financing che spesso comporta una progettazione economica solo dal punto di vista del gestore, sono operazioni che denunciano una grave carenza di una reale modernità che deve essere praticata con approccio olistico, partecipato e tecnologicamente avanzato.
La Rete dei Comitati propone che tutti i consumi di risorse territoriali, ambientali e paesaggistiche che esulano dalla soddisfazione di bisogni sociali (giovani, immigrati, fasce più povere della popolazione) siano subordinati al riutilizzo e riorganizzazione degli insediamenti e delle infrastrutture esistenti, a progetti di sviluppo basati sulla ricerca, la formazione, la produzione di servizi, le tecnologie risparmiatrici di energia.

2. Dimensione statutaria del paesaggio
La riforma del titolo V della Costituzione è stata interpretata da molte Regioni, la Toscana in testa, come una patente di autonomia dei Comuni, rispetto a qualsiasi direttiva o prescrizione sovraordinata. La tutela del paesaggio è invece un processo che riguarda tutti i livelli istituzionali e, secondo la Convenzione europea del paesaggio, deve vedere come protagoniste le popolazioni: non solo quelle che ‘abitano là’, ma quelle che sentono legami di appartenenza con quel luogo e quel paesaggio, ciò che a volte vuole dire l’intera umanità. L’idea che a decidere siano unicamente residenti del posto e gli interessi economici più immediati, spesso male interpretati, è aberrante e tuttavia viene spacciata come ‘partecipazione’.
Il Piano di Indirizzo territoriale della Regione Toscana è esemplare a questo proposito, dissolvendo la disciplina paesaggistica in quella territoriale e riducendo il ruolo di Regione e Province a quello di fornire raccomandazioni e indirizzi che possono essere tranquillamente non rispettati dai Comuni cui fanno capo tutte le verifiche di conformità.
La Rete dei Comitati propone che la disciplina di tutela del paesaggio – definita come Pianificazione paesaggistica – sia distinta dalla pianificazione territoriale, anche se a questa organicamente collegata. La tutela del paesaggio deve essere sottratta alla variabilità del piano ed assumere un carattere statutario, di natura costituzionale. Lo statuto del paesaggio, articolato in vari livelli, deve cioè essere considerato un’invariante cioè non modificabile se non mediante procedure particolari in cui sia centrale la partecipazione dei cittadini.

3. Cementificazione del territorio e consumo di suolo
Ad una fase di espansione edilizia che riguardava soprattutto i principali centri urbani ed era giustificata come risposta al bisogno primario di case, è seguita una fase in cui lo sviluppo delle città si è progressivamente scollegato dalle necessità abitative.
All’ulteriore urbanizzazione dei centri urbani si è aggiunto un altrettanto diffuso attacco al territorio rurale, fino a tempi relativamente recenti risparmiato, perché considerato non appetibile, ed ora oggetto di interesse da parte di operatori italiani e stranieri e di capitale altamente speculativo (spesso di dubbia origine), attratto proprio dal pregio del paesaggio e dalla sua attuale “spendibilità”.
L’imprenditoria privata è oggi in grado anche nelle Regioni amministrate dai partiti di sinistra, di imporre scelte urbanistiche ambientalmente distruttive e operare una gestione privata del territorio attraverso offerte alle amministrazioni locali che quando non conniventi hanno una ridotta capacità di resistenza a causa del cronico disavanzo finanziario in cui versa l’intero settore degli enti locali.
La Rete dei Comitati chiede, oltre a quanto già esposto – e cioè che dietro ad ogni consumo di suolo vi sia un progetto di reale modernizzazione – di tagliare il cortocircuito perverso per cui i Comuni sopperiscono alle esigenze di bilancio attraverso gli oneri, di costruzione di urbanizzazione, ritornando a quanto era previsto dalla legge 10 del 1977 (la legge Bucalossi).

4. Grandi opere e infrastrutture

Grandi opere e grandi infrastrutture, come le linee dell’alta velocità, i raddoppi e le varianti autostradali, il ponte sullo stretto di Messina, non sono automaticamente opere che concorrono a modernizzare il Paese e a promuoverne lo sviluppo, dipendendo quest’ultimo dalla qualità delle opere stesse e dal loro inserimento in una programmazione complessiva. L’Italia abbonda di infrastrutture e attrezzature non finite o che si sono rivelate inadeguate rispetto ai loro scopi o addirittura controproducenti.
Dietro alle spinte alla realizzazione di qualsiasi opera e al rifiuto pregiudiziale di ogni voce critica stanno spesso gli interessi economici di grandi imprese talvolta colluse con settori della politica e dell’amministrazione. La vicenda dell’Autostrada tirrenica, dove la Regione Toscana rifiuta pervicacemente di prendere in considerazione l’ipotesi di adeguamento e messa in sicurezza in sede della statale Aurelia (soluzione da lei stessa approvata nel 2000 e già sottoposta con parere favorevole a VIA) è esemplare a questo proposito.
La Rete dei Comitati chiede una profonda revisione della Legge 443 del 2001 (la legge Obiettivo) e del delegato Decreto Legislativo 190 del 2002. Ciò significa, fra l’altro, reintrodurre la possibilità di opzione zero, ora vanificata dal fatto che il soggetto aggiudicatore, oltre che del progetto preliminare è anche autore dello studio di impatto ambientale, mentre la VIA viene effettuata solo sul progetto definitivo. Significa, inoltre, che le procedure della VIA devono reintrodurre la possibilità di un’effettiva partecipazione dei soggetti interessati, secondo quanto disposto dalla Direttiva 337/1985 del Consiglio della Comunità europea.

5. Politiche energetiche
Urge la redazione di un serio e coerente “piano energetico nazionale”, che preveda programmi di risparmio di efficienza dell’energia e la promozione diffusa delle fonti energetiche rinnovabili (solare, eolico, ecc.), purché la loro realizzazione sia ecocompatibile sul piano ambientale e paesaggistico.
È evidente che occorre uscire dall’era del petrolio e degli altri combustibili fossili, senza per questo ricadere nel pantano, ideologico e pratico, del nucleare. Il metano come combustibile di transizione è accettabile, ma con la garanzia che sia utilizzato in quota percentuale tale da garantire il rispetto dei parametri fissati da Kyoto sull’“effetto serra”. Sono invece incompatibili i “rigassificatori di gas liquido”, perché sono impianti ad alto rischio per l’ambiente e le popolazioni.
Analoghe considerazione andrebbero fatte a proposito della “geotermia”. Ci sono intere zone del paese (per esempio, in Toscana, il Monte Amiata, ma altri casi si potrebbero citare) devastate da un uso improprio, altamente speculativo, delle risorse geotermiche.
Su tutto questo presto bisognerà ritornare. Come nelle proposte di trivellazioni di territori d’alto valore ambientale (Val di Noto, Val d’Orcia), che, dopo un primo momento di arretramento, sembrano tornare alla carica, spesso con l’avallo delle Regioni interessate.
Nell’immediato, la Rete dei Comitati chiede urgentemente che le Regioni rendano obbligatoria la procedura di VIA per tutti gli impianti di produzione di energia alternativa di dimensioni tali da alterare in modo sensibile la qualità del paesaggio e in particolare per i parchi eolici, proprio a causa del loro impatto paesaggistico.
In particolare, per potere meglio definire e approvare un Piano Energetico Regionale, in Toscana si rende necessaria una moratoria sulla localizzazione dei nuovi impianti e una loro valutazione partecipata, che prenda in considerazione il ciclo integrale dell’energia sotto l’aspetto urbanistico, paesaggistico, ambientale e sanitario, al fine di contenerne e diminuirne l’impatto globale sul territorio.

6. Emergenza rifiuti
La dimensione e la drammaticità della “emergenza rifiuti”, verificatasi particolarmente in Campania, ma presenti anche in altre Regioni, i colossali e inutili sprechi di denaro pubblico, l’incompetenza e le collusioni dei vari segmenti del ceto politico, il serbatoio colossale di “autofinanziamento” creatovi ai propri fini dalla delinquenza organizzata, fanno di questo punto uno dei cardini di un programma ambientale nazionale e al tempo stesso sconsigliano da ricette facili e affrettate.
È evidente, sul piano strategico, che occorre elaborare e praticare una diversa politica dei rifiuti fondata sulla loro drastica riduzione (e dunque sull’adozione di un diverso modello di vita), la raccolta differenziata porta a porta, il riciclaggio sistematico con l’adozione di nuove tecnologie non inquinanti (impianti di trattamento a freddo).
Nell’immediato l’uso sorvegliatissimo degli inceneritori deve tendere al tempo stesso alla loro progressiva chiusura ed esaurimento.
È necessario altresì adottare piani regionali di smaltimento, che fronteggino con soluzioni eque e partecipate le reazioni particolaristiche, le quali tuttavia appaiono giustificate in molti casi dallo stato di abbandono e di disagio delle popolazioni più direttamente investite dall’increscioso fenomeno.

7. Politiche dei Beni culturali. Rafforzamento delle sovrintendenze
È evidente che affrontare in maniera corretta in Italia il problema della tutela ambientale comporta anche l’adozione di serie ed efficaci politiche dei Beni Culturali.
Ci limitiamo su questo punto a osservare che, se l’adozione del Codice Settis va considerata un passaggio serio e non semplicemente un manifesto delle buone intenzioni, sarà necessario in tempi brevi operare un rafforzamento massiccio, qualitativo e quantitativo delle Sovrintendenze, alla cui operosità va ricondotto in buona parte l’oggettivo funzionamento di tale meccanismo.

8. Partecipazione
Tutti i “punti del programma” precedentemente elencati risulterebbero vani, se non fossero attraversati e modellati da questo: la partecipazione dei cittadini alle scelte di trasformazione del territorio. Una partecipazione che deve andare ben oltre il consenso e la rappresentazione formale, per divenire occasione di consapevolezza, di vertenza, di difesa ed in particolare di progetto e di nuovi rapporti tra amministratori e popolazione, verso una “democrazia territoriale partecipata”.
A questo proposito la Rete dei Comitati ritiene necessario che sia promossa una reale partecipazione dei cittadini, riuniti in associazioni, nonché delle associazioni ambientalistiche, nell’iter di elaborazione dei piani e soprattutto nelle decisioni, sempre più frequenti, che avvengono al di fuori della pianificazione ordinaria, mediante decreti legislativi delegati, o attraverso conferenze di servizi rese di fatto inaccessibili ai cittadini. Analoga partecipazione deve essere prevista nei procedimenti di valutazione (valutazioni di impatto ambientale, verifiche preliminari, valutazioni ambientali integrate ecc.).
La Rete inoltre chiede che sia disciplinata e resa omogenea la normativa riguardante gli strumenti referendari in modo che sia effettivamente praticabile per tematiche di impatto territoriale e accessibile con certezza del diritto e costi contenuti per i cittadini.
Per quanto riguarda specificatamente la Toscana la Rete chiede che sia rivista in alcune parti la legge sulla partecipazione sia per quanto riguarda il dibattito pubblico relativo ai “grandi interventi”, sia per il sostegno regionale ai processi di partecipazione. Riguardo al primo punto, appare insoddisfacente che il soggetto proponente possa “proseguire a sostenere il medesimo progetto sul quale si è svolto il dibattito pubblico, argomentando motivatamente le ragioni di tale scelta”, ma ignorando nella sostanza quanto emerso in fase di dibattito. Riguardo al secondo punto, bisogna evitare che il sostegno regionale si traduca in una burocratizzazione della partecipazione, e in una contrapposizione manipolata fra gruppi di interesse.

9. Legalità
In Italia il rispetto dei piani e delle leggi è diventato un fatto facoltativo, affidato alla discrezionalità delle amministrazioni. In Toscana, ad esempio, è sempre più diffuso il fenomeno di strumenti urbanistici comunali che non solo ignorano le disposizioni del PIT e dei piani territoriali delle Province, documenti peraltro di mero indirizzo, ma che ostentano una plateale inosservanza della legge di governo del territorio (LR 1/2005) senza che né le Regioni, né le Province vogliano o possano intervenire.
Giusto promuovere la cooperazione dei vari livelli istituzionali, giusto che la pianificazione non sia una cascata di prescrizioni localizzate a dettaglio crescente, ma non si può supporre che bastino le esortazioni a produrre un buon governo del territorio. Una volta sancito un patto, bisogna che questo sia rispettato dai contraenti e il rispetto delle leggi di governo del territorio non può e non deve essere esterno a queste stesse leggi.
La Rete dei Comitati chiede che le Regioni e, in particolare la Regione Toscana, introducano nella legge del governo del territorio procedure di controllo che sanzionino in modo efficace l’inosservanza delle leggi da parte delle amministrazioni locali.

10. L’Ambiente e il Voto
La Rete dei Comitati constata (e lo abbiamo già detto) che nei programmi e nel dibattito pre-elettorale il “grande assente” è l’ambiente: il territorio, il paesaggio, il patrimonio culturale italiano; oppure è ridotto ad un catalogo di genericità e di buone intenzioni (la formula “ambientalismo del fare” sembra preludere purtroppo più a “politiche del fare” che a “politiche dell’ambientalismo”).
La Rete ritiene perciò utile mettere in circolo idee e proposte precise e circostanziate in materia. Chiediamo, per orientarci e orientare, risposte altrettanto precise e circostanziate e a tal fine sollecitiamo la collaborazione degli organi di informazione, nazionali e locali, regionali e locali, al fine di rendere visibile un tale eventuale dibattito.

Le somme, ovviamente, si tireranno nei giorni del voto.

Firenze, 26 marzo 2008