venerdì 28 settembre 2007

Leggende e Racconti Palermitani: parte seconda

Grazie al prezioso contributo offerto da Flavia, pubblico il secondo intervento su un racconto molto noto in città: si tratta della leggenda dei diavoli della Zisa.. Molti di noi dinnanzi ad una cifra non esattamente nota si son sentiti dire:: <<E chi su, li diavuli di La Zisa!>>. Ebbene, se volete sapere il motivo di tale detto vi invito a leggere per bene questa leggenda. Ma prima di lasciare lo spazio ad essa rinnovo nuovamente l'invito a partecipare attivamente a questa rubrica mandando una mail a costruiamoildomani@libero.it
Buona lettura

I DIAVOLI DELLA ZISA (di Luigi Ricca)

Un uomo barcollante, forse ubriaco, fu visto aggirarsi nei dintorni della Zisa. La pace del luogo, il dolce rumore dell’acqua, uniti all’effetto del vino, lo stimolarono a fare i suoi bisogni. Quella vasca lì ai suoi piedi sembrava fatta apposta… Messo così a gambe divaricate, avrà guardato verso l’alto – là dove c’è l’arco con su dipinti i famosi Diavoli.

“A me manco mi parono diavoli… Che ci vorrà poi a contarli: basta fissarsene uno e partire! E allora uno, due, …, dodici, …, venti, no ventuno se contiamo pure quello… e quest’altro da dove spunta? Avrei giurato fosse lì poco fa…”

Sarà stato a questo punto che una delle figure avrà iniziato a muoversi e a parlare:

“Mica tanto facile, vero? Sappi allora che qui noi siamo a guardia di un tesoro e non sarai certo tu a rompere l’incantesimo!”

“Già – intervenne a questo punto un secondo Diavolo – ma oggi è il giorno dell’Annunziata e ci è concesso di sgranchirci un po’ e di fare quattro chiacchiere. Potremmo raccontarti del famoso tesoro della Zisa… Devi sapere che ai tempi antichi c’era un importante saraceno che teneva il suo dominio qui a Palermo. Un giorno vide questa bellissima fanciulla palermitana, che si chiamava appunto Zisa, e se ne innamorò. La ricoprì di ricchezze e di attenzioni ma era costretto a tenerla nascosta perché proibito era l’amore tra un saraceno e una cristiana. Ma quando un giorno alla bella Zisa venne voglia di fare una gita fuori le Mura ecco che questo imperatore, chiedendo l’aiuto di noi Diavoli, fece costruire nell’arco di una sola notte questo splendido palazzo pieno di acque danzanti e ricchezze e giardini e canti d’uccelli. E piacque tanto alla Signora che ci si stabilì per sempre e vi si fece seppellire con tutti i suoi tesori, lasciandoci a custodia perenne”.

“Ma quante fesserie state raccontando a questo poveretto! – esordì un terzo diavolo – lo sanno tutti che ai tempi dei saraceni la Zisa ancora non esisteva! Se la fece costruire Guglielmo il Malo, Re dei Normanni, che pare preferisse i piaceri della caccia e delle belle donne al tristo esercizio del governo e che si ritrovò re a trent’anni, lui quartogenito, per la morte prematura dei suoi fratelli maggiori. A questo scopo si fece costruire questo luogo di sollazzo, una sorta di paradiso pagano per scacciare le malinconie di un Re cristiano…”

“Io veramente so un’altra storia – s’inserì un quarto diavolo – Effettivamente con il passare degli anni la Zisa diventò una residenza privata e cambiò molti padroni. Capitò che ci venne ad abitare anche un Greco levantino, all’epoca del Re di Spagna, quando questi non faceva altro che ‘piglia e domanda’ ai nobili palermitani per pagarsi le guerre. La cosa si era fatta talmente pesante che questi si fecero convincere dal Greco a nascondere tutti i loro beni presso di lui. Ma questo greco era una sorta di mago e si mise d’accordo con uno scarparo, il quale in una notte prestabilita, celebrati alcuni riti, lo avrebbe pugnalato facendolo sparire con tutti i tesori (si dice abbia preso possesso del corpo di un turco). Allo scarparo sarebbe rimasta la dimora. I nobili, per quanto rovistassero, scavassero, torturassero il povero scarparo, non solo non riuscirono più a ritrovare i loro beni ma dovettero per di più subire l’ira del Re che, saputa la cosa, impose ancora più pesanti balzelli. Nessuno ha più ritrovato il tesoro della Zisa. Si dice che ci sia una scritta a Costantinopoli in caratteri turchi che nessuno riesce a decifrare e che dice appunto: «Fu trovato il tesoro della Zisa?» «No» «Povera Sicilia!»”. Secondo la leggenda, un giorno il tesoro verrà riportato alla luce e chi riuscirà a fare ciò, libererà Palermo dalla miseria in cui versa...




lunedì 24 settembre 2007

Il Territorio

Il concetto di “territorio” ha significato quasi esclusivamente spaziale dal punto di vista estensivo-quantitativo. Per territorio si intende, infatti, una più o meno vasta estensione di superficie terrestre, che può essere delimitata o da divisioni geofisiche (monti, fiumi, mare), o secondo differenze linguistiche, o secondo divisioni storico-tradizionali, o secondo delimitazioni politico-amministrative. Quest’ultime sono in genere divisioni convenzionali e arbitrarie, che possono non coincidere con quelle geofisiche, linguistiche o storico-tradizionali. Per fare un esempio pensiamo alla Sicilia. Se ci riferiamo al suo territorio dal punto di vista dei limiti politico-ammistartivi, ci accorgiamo che questi possono coincidere con quelli linguistici , storico tradizionali (più o meno – stabilirlo con precisione non è problema che ci interessa ora), ma no di certo con quelli geofisici: Lampedusa appartiene addirittura ad un altro continente dal punto di vista geologico. Se ci riferiamo al territorio della Sicilia dal punto di vista dei limiti geofisici, vuol dire che stiamo parlando della più estesa isola del Mediterraneo, e cosa a parte saranno le varie Pantelleria, Lampedusa, Ustica e così via. D’altro canto ognuna di queste isole ha i suoi confini politico-amministrativi (comunali) coincidenti con quelli geofisici. Gli esempi potrebbero continuare all’infinito.

Oltre questo significato spaziale, però, c’è un altro significato, stavolta di tipo economico e/o sociale, che si riferisce al Territorio. Per l’economia il Territorio è una importantissima e complessa risorsa che condiziona o rende più o meno “fattibili” le attività economiche: è la risorsa strategica per eccellenza. Da questo punto di vista il Territorio è contraddistinto da una complessa maglia di servizi, istituzioni, infrastrutture per la viabilità e il trasporto, infrastrutture per l’informazione, reti per la distribuzione energetica, imprese, risorse economiche (terra, lavoro, e capitali) risorse ambientali, beni storico-architettonici (centri storici, beni archeologici e culturali in genere) agglomerazioni urbani o industriali, cittadini associati o meno, tradizioni di vita. Ecco con cosa bisogna confrontarsi, ecco cosa bisogna tenere conto quando si vuole iniziare a parlare di sviluppo territoriale, inteso in termini economici sociali e culturali.

Paesaggio – Ambiente – Territorio


Subito dopo essere stato invitato a far parte del Comitato “costruiamo il domani”, ho ritenuto necessario o, se vogliamo, “ideale” dedicare il mio primo intervento su questo blog alla precisazione di tre termini: “territorio”, “ambiente”, “paesaggio”. Ben più di un motivo mi ha indirizzato verso questa scelta.

Il primo (o il principale) motivo dipende dalla mia formazione e da mie aspirazioni professionali. Il mio desiderio è quello di parlare e riflettere, in questo blog, su temi, problematiche, pratiche (nel senso di “azioni”) riferite principalmente a questi tre concetti. Ragion per cui (secondo motivo) è necessario preliminarmente, da parte mia, chiarire i diversi significati espressi da questi tre vocaboli, in maniera che non siano confusi l’uno per l’altro, come spesso avviene.

Terzo motivo: tale precisazione concettuale è praticamente l’argomento della prima lezione frontale a cui ho assistito al corso di laurea che frequento e che sto concludendo ( ci sono quasi affezionato).

Andiamo al nodo della questione dunque.

“Territorio”, “Ambiente”, “Paesaggio” sono vocaboli che spesso vengono confusi, o usati indiscriminatamente come se i loro significati siano i medesimi. Tale confusione di termini si verifica anche in ambito accademico, o tra “addetti ai lavori”, e (a mio modesto avviso) dipende dalla capacità espressa da questi tre termini di disporsi a “matrioska”, come se uno contenesse (sia in senso logico che fisico) l’altro. Quindi spesso si può cadere nell’inganno, e per semplicità logica considerare i tre termini come tre sinonimi utili alla stessa maniera ad indicare un’unica ed indifferenziata bambola di legno.

Da una parte, il problema ha estrema rilevanza in ambito professionale (per architetti, urbanisti, pianificatori, ma non solo) perché si tratta di tre concetti fondamentali che definiscono l’ambito di intervento, l’approccio o il giusto punto di vista da adottare, gli “attrezzi” da utilizzare. Per capirci, se ci trovassimo davanti al problema di dover appendere una immagine ad una parete, potremo muoverci sempre e comunque con chiodo e martello?<Ovviamente no!> (risponderanno i miei lettori). Prima bisogna ben capire quale sia l’immagine e quale la parete tra le due. Molto, poi, dipende dal tipo di parete: che sia di cemento, di pietra, di legno, di gesso o di cartone non è irrilevante. In certi casi (martello in mano) avremo risolto il problema più o meno efficacemente, in altri saremo stati inefficaci del tutto, in altri avremo fatto parecchi danni. Dall’altra parte ritengo che una tale chiarificazione sui termini serva anche fra i “cittadini” (praticamente mi riferisco a tutti quelli che guardano “appizzare” l’immagine sulla parete e che sono quasi sempre i proprietari della parete) , all’opinione più comune e pubblica, per sviluppare un giusto sentimento critico, una sensibilità più consapevole verso i problemi che si propongono (e ahimé spesso si ripropongono) su questi tre ambiti.

Naturalmente chi vi scrive c’ha messo un po’ a capire certe cose, e utilizzerò, semplificando e sintetizzando, gli scritti di Rosario Assunto.

giovedì 20 settembre 2007

Italia, culla e tomba del diritto

L'intervista che qui di seguito allego è lo sfogo di un uomo dello Stato condannato ingiustamente per aver combattuto quel cancro che è cosa nostra con mezzi non "ortodossi"... E' la storia, oserei dire infinita, di un essere umano costretto ad espiare una pena che alla sua età rappresenta quasi un ergastolo (10 anni per concorso in associazione mafiosa). Buona lettura e buona riflessione...


L'urlo di Contrada in cella: «Io, vittima di sciacalli voglio solo morire a casa»
di Gian Marco Chiocci - sabato 15 settembre 2007, 07:00

Quattro mesi fa, giunto al capolinea di un processo-farsa, Bruno Contrada veniva condannato a 10 anni di carcere, strappato ai suoi cari, sbattuto in prigione per esser consegnato all’oblio giudiziario col sigillo del mafioso. Quattro mesi dopo, a 76 anni suonati, con ventuno patologie diagnosticate, il più bravo poliziotto antimafia crocifisso dalle menzogne dei pentiti, arranca nel carcere militare di Santa Maria Capua Vetere per incontrare i parlamentari Lino Jannuzzi e Stefania Craxi. «Sto male - è l'esordio dell'ex 007 del Sisde - ma non intendo crepare in galera e nemmeno piantonato dai carabinieri in ospedale. È stato perpetrato ai miei danni un delitto di Stato, che almeno mi si conceda di morire a casa».Innanzitutto, le sue condizioni di salute dottor Contrada.«Secondo voi come può stare un uomo di 76 anni, provato nel fisico e nel morale da 15 anni di tormento giudiziario, da arresti e scarcerazioni, da alterne pronunce processuali ed ora ridotto in ceppi perché condannato a una pena che per me, data l’età e le gravi malattie, significa l’ergastolo? Come può vivere un uomo delle Istituzioni che dopo aver speso la sua esistenza al servizio dello Stato poi dallo stesso riceva, quale "ricompensa", l’annientamento della sua persona e la condanna a morire in prigione come un criminale? Un uomo che - come centinaia di testimoni hanno confermato in aula - ha servito le istituzioni con amor di patria, fedeltà, con abnegazione totale, e che dalle stesse istituzioni è stato poi umiliato, vilipeso, perseguito, accusato, inquisito, incarcerato, processato, condannato. Ditemelo come può stare un uomo distrutto da accuse to-tal-ment-te infondate, palesemente false, calunniose, inique, ignobili, inventate, pilotate, derivanti da odio e rancore, da invidia e perfidia, da vendetta e rivalsa, da errori e superficialità, ma soprattutto da tesi precostituite e teoremi artatamente accusatori e subdolamente argomentati. Teorie folli che oggi tornano di moda con la solita storia dei servizi segreti deviati».Si aspettava un verdetto così duro dalla Cassazione?«Non ho ancora letto le motivazioni ma nonostante l'alone di sacralità che avvolge le pronunce della Corte suprema, so che questa sentenza è ingiusta. No, non me l’aspettavo. Ero dell’opinione che la Cassazione annullasse in tutto o in parte il verdetto e rinviasse per un nuovo e più approfondito giudizio nel merito. Se non altro per la incongruenza del "ragionevole dubbio" sull’intera vicenda giudiziaria costellata da obbrobri e menzogne conclamate. Io mi domando quale altro "ragionevole dubbio" può mai essere più incombente e ineludibile del fatto che, con gli stessi elementi e in assenza totale di prove contro di me, un collegio della corte d'appello mi abbia precedentemente assolto con la formula più ampia, ("perché il fatto non sussiste") e un altro collegio della stessa corte d'appello mi abbia invece condannato per concorso esterno in associazione mafiosa».I pentiti sono i protagonisti nefasti del suo processo. Sua moglie arrivò a rivolgersi a loro affinché raccontassero la verità…«Mia moglie si è battuta con forza, ha preso varie iniziative, alcune rivelatesi utili, altre meno. Scrisse a molti di coloro che allora ricoprivano le più alte cariche dello stato, da Scalfaro a Violante, da Napolitano a Mancino, per far conoscere lo scempio che si compiva ai danni di un uomo dello Stato. Se mi avesse interpellato l'avrei sconsigliata di rivolgersi a criminali diventati collaboranti per convenienza poiché sapevo che mai avrebbero accolto quel grido di dolore rinunciando alla libertà, al denaro, ai vantaggi acquisiti con il tradimento, l'infamia e la calunnia. Questo appello, la mia cara Adriana, avrebbe dovuto rivolgerlo non solo ai vari Mannoia, Mutolo, Spatola, Buscetta, Marchese, Di Carlo eccetera, ma anche ad altri soggetti che pur non inquadrati nell'ignobile categoria dei "collaboratori di giustizia" (spero non sia stato inserito un 290 tris, prevedente il reato di vilipendo all'ordine dei pentiti) hanno reso dichiarazioni al mio processo non corrispondenti al vero, spinti a far ciò da meschinità e viltà, da esigenze di carriera e d'adeguamento servile alle tesi dell'accusa.Tra questi, purtroppo, non mancano appartenenti od ex appartenenti alle forze di polizia».Chi sono?«Non faccio i loro nomi per carità di patria, per il residuo senso dello Stato che permane in me e per non creare difficoltà al Giornale che mi ospita. Ma non è difficile individuarli, basta leggere gli atti processuali. Sono sciacalli, avvoltoi, vermi, che di rado mancano in determinati processi». Il suo, di processo, grida vendetta. La verità un giorno la conosceremo?«Sono fermamente convinto che la coltre vergognosa dell'infamia commessa, verrà sollevata. Purtroppo è più che probabile che io non farò in tempo a vedere quel giorno poiché la mia stagione di vita volge velocemente al declino.Nei 15 anni di calvario giudiziario in tantissimi si sono mossi a mia difesa ed anche i più scettici, alla fine, si sono accodati a chi ha sempre creduto alla mia innocenza. Ma capisco anche i miei più ottusi detrattori. Non tutti avevano la possibilità di rendersi conto di come stavano le cose e ciò per vari motivi».Quali?«Per la molteplicità delle accuse, ripetute, con pedissequo adeguamento da criminali pentiti, senza curarsi dell’assenza di riscontri; per il ripetersi di siffatte accuse infamanti, acclarate col tempo essere calunniose, tutte tese a dare supporto a un impianto accusatorio tendente a sporcare l’immagine dell'accusato per rendere più agevole l’accettazione nell’immaginario collettivo della colpevolezza; per le testimonianze, deliberatamente o inconsciamente, malvagiamente o stupidamente, autonomamente o su suggerimento altrui, che hanno deformato la realtà; per l’obliterazione totale della mia trentennale attività di polizia esaltata da uomini dello Stato; per il recepimento acritico, passivo, incondizionato e incontrollato, fideistico, delle propalazioni accusatorie di pentiti (che ho arrestato ripetutamente insieme ai loro parenti delinquenti) enunciate per odio, rancore, vendetta o per concreta e sostanziose aspettative (mai deluse) di benefici giudiziari ed economici.Sono tanti i motivi... ». Vuole dire loro qualcosa?«Sì. Coloro che hanno capito, intuito o saputo la verità non possono limitarsi ad essere amareggiati dell'esito processuale, o impietositi dal fatto che uomo, malato in carcere, sia stato gettato nel fondo di una prigione che rischia di essere la sua tomba. Dovrebbero gridare la loro indignazione per sì enorme e terribile ingiustizia. Molti di coloro che conoscono la verità, anche tra gli "addetti ai lavori di mafia", hanno taciuto e tacciono tuttora per indifferenza, egoismo, paura, quieto vivere, per viltà. Ciò è nella natura umana, non me ne scandalizzo dunque. Chiedo uno scatto d'orgoglio per il futuro. Non sono certo io l'unico o il primo, né sarò l'ultimo degli uomini onesti a subire le conseguenze di siffatti modi di essere».Data la natura (mafiosa) del reato per il quale è stato condannato, lei non può lasciare la prigione se non in ambulanza, e in condizioni gravissime, com'è successo qualche giorno fa per un'ischemia. Anche nei momenti più difficili si è sempre detto fiducioso nella giustizia, la pensa ancora così?«Sono stato condannato per un reato gravissimo, e doppiamente infamante, avendo indossato io una divisa. Mi hanno inflitto una pena talmente pesante che, alla mia età, potrebbe definirsi un ergastolo ad personam. Hanno preso per oro colato le parole di mafiosi con 10, 20, 30 omicidi sulle spalle infischiandosene della verità che tutti ormai conoscono, mi volevano colpevole a tutti i costi e sono stati accontentati. Come posso io credere ancora alla giustizia del mio Paese.L'umanità è variegata, esistono tante brave persone ed anche personaggi cattivi, pavidi, disonesti, sleali, bugiardi, spergiuri, ipocriti, meschini, di basso sentire. Da loro sono stato braccato, aggredito a freddo, puntato dall'alto (se corvi o avvoltoi) morsicato (se iene o sciacalli) pizzicato (se formiche rosse o zanzare). Alcuni sono accorsi affamati al "banchetto" mettendo in azione becchi, denti affilati, pungiglioni. Altri si sono tenuti lontano, gracchiando e guaendo nell'ombra. Non ero così ingenuo da non immaginare ciò che sarebbe accaduto. Lo scrissi a mia moglie, subito dopo l'arresto nel 1992. Ma oggi che la mia vita è agli sgoccioli posso dire che allora non immaginavo la portata di questo scempio senza fine».

mercoledì 19 settembre 2007

Ricorso contro i test d'accesso a Medicina e Odontoiatria

C'è chi quel test lo ha provato anche quattro volte prima di riuscire a entrare: un vero e proprio incubo, anzi... una barriera formidabile.

Essendo preoccupati per i continui scandali che ruotano intorno ai test d'ammissione, abbiamo deciso di promuovere, gratuitamente, un ricorso collettivo per chiedere l'abolizione del numero chiuso dai corsi di laurea di Medicina e Odontoiatria ed ottenere l'ammissione degli studenti palermitani esclusi.

Per aderire all'iniziativa basta inviare una mail con i propri dati anagrafici all'indirizzo: costruiamoildomani[at]libero.it. Le richiesta di adesione dovranno essere presentate entro fine mese. I membri del comitato contatteranno gli interessati e spiegheranno i dettagli dell'iniziativa in una riunione che si svolgerà ai primi di ottobre.

Leggende e Racconti Palermitani

Con quella di oggi, inizio una serie di pubblicazioni di leggende e racconti popolari che ho raccolto da un po' di tempo e che credo possano essere interessanti per chi vive la città e non. Come detto, si tratta di leggende e racconti, ed in quanto tali esiste solo un "fondo" di verità che alle volte si rintraccia nel periodo in cui la storia è ambientata, altre nella collocazione spaziale della stessa.

Spero possano piacere. Chi ne conoscesse delle altre e volesse contribuire a questa rubrica può inviarle all'indirizzo email costruiamoildomani@libero.it

Adesso lascio lo spazio alla prima di esse.
Buona lettura

“IL VECCHIO PALERMO”

La leggenda del genio di Palermo (riportata dalle penna di Giuseppe Pitrè)

“Raccontano i nostri maggiori che nei tempi antichi, ma antichi assai, c'era un Signore, ricco sfondato, che andava viaggiando di qua e di là per suo piacere. Una volta fu sorpreso da una grande tempesta di mare, mentre si trovava dentro una piccola barca. Sbattuto di qua e di là fu un miracolo che il mare non lo inghiottisse; e dopo tre giorni e tre notti di tempesta, quando stava per morire di fame e di stanchezza, una grande ondata lo gettò con tutta la barchetta sopra questa terra nostra. Volta e gira non c'era nessun abitante, ma c'era la Provvidenza di Dio in frutta e altre cose da mangiare e quel Signore, ch'era già mezzo morto, si riconfortò e saziò appieno.

Ciò fatto, quel Signore s'innamorò di questa terra, che gli parve un vero paradiso terrestre: e poiché non c'era nessuno ed egli era ricco quanto mai, pensò di fare venire qui molti ingegneri e capimastri e fece fabbricare questa bella città di Palermo. Si chiamò così perché fu lui che la fece fabbricare e lui si chiamava Palermo. Gli stessi ingegneri e capimastri che la costruirono, fecero una statua di marmo al Signore riccone padre e patrono della città, che poi divenne vecchio; e questa statua è quella che si trova sulla piazza della Fieravecchia (oggi piazza della rivoluzione)”

domenica 9 settembre 2007

Che cos'è la conoscenza ?

In quasi tutte le aree di discussione virtuale si cerca di indagare scrupolosamente sul significato del concetto di conoscenza e sulle sue numerose sfaccettature... talvolta solo per scoprire i luoghi dove risiede e i modi per estrarla.
Dato che la creazione di questo blog risponde soprattutto all'esigenza di condividere con altri il proprio bagaglio di informazioni, esperienze ed aspettative mi sembra appropriato inaugurarlo con una riflessione comune sul sapere.
Naturalmente comincio io ma spero che voi facciate altrettanto...
Secondo me la conoscenza è un suggestivo mix di informazioni, riflessioni ed esperienze capaci di espandere gli orizzonti mentali di ogni individuo. Nasce dall'interconnessione tra il bacino culturale lasciatoci dalle generazioni passate e le nuove forme di sapere che lo arricchiscono.
Sino a qualche anno fa era reperibile nelle coscienze degli uomini o negli scaffali delle librerie, sotto forma di bene economico liberamente accessibile ma limitatamente diffuso, se non di scarso interesse. Nell'attuale contesto di una "società dell'informazione e della conoscenza", invece, il sapere è differentemente condivisibile e decisamente più appetibile.
La diffusione dei mezzi di comunicazione di massa e le mode proposte dagli internauti, ultima delle quali "il blog", hanno incrementato la sete di conoscenza al punto tale da far discutere di un graduale tramonto della società industriale. Non a caso si pensa che i beni materiali diano inferiori margini di profitto rispetto ai beni immateriali. Così come non è un caso che si sia notevolmente diffuso il ricorso alla proprietà intellettuale.
Che sia questo un limite alla conoscenza? Può darsi... ma soltanto nella misura in cui il processo di trasformazione della conoscenza in profitto si estremizzi al punto tale da limitarne la fruibilità ad una casta di pochi privilegiati, impoverendo la società nel suo complesso.