giovedì 8 maggio 2008

Il Sacco di Palermo ha fatto scuola: sono arrivati "I Re di Roma"

Domenica 4 Maggio il programma televisivo "Report" ha mandato in onda una delle sue eccezzionali inchieste. Titolo della puntata: "I Re di Roma" di Paolo Mondani.
Un'altra volta, come spesso accade, ho valutato direttamente dal mio stato psico-fisico, generatosi immediatamente dopo la visione della puntata, la "bontà" del repotage. Anche stavolta sono stato male. Anzi, malissimo. Si è parlato dello stato in cui si trova l'Urbanistica italiana, delle regole che governano le città, del destino delle nostre città che non sembra essere più determinato dall'Amministrazione Pubblica attraverso la ricerca e l'esercizio dell'interesse collettivo, bensì dal mercato e dalla rendita fondiaria.
Il bastone di comando sembra sia passato definitivamente in mano agli speculatori finanziari, ai "palazzinari" che non possono avere altri scopi al di fuori del loro personale tornaconto.
Questo passaggio di testimone l'hanno permesso la nostra politica e i nostri cattivi Amministratori che hanno dimostrato di disconoscere totalmente quali sono le basi sui cui si fonda il loro ruolo istituzionale.

Nel caso specifico la puntata ha messo sotto esame la politica urbanistica della Capitale (per 15 anni di fila hanno governato Rutelli e Veltroni) e il suo nuovo P.R.G (Piano Regolatore Generale) da pocco approvato. Il nuovo strumento urbanistico prevede la costruzione di 70 milioni di metri cubi di nuova edilizia che consumeranno più di 10 mila ettari di suolo, in gran parte strappati alla campagna romana e in un contesto di crescita demografica uguale a zero.
L'idea che ha guidato le scelte di piano è stata quella di costituire dei quartieri satellite attorno alla città consolidata, oltre l'anello autostradale per delocalizzare quelle funzioni che oggi si affollano caoticamente nel centro di Roma: residenza, ma soprattutto uffici legati alle attività svolte da una città capitale. Il Problema sta nel fatto che le nuove "Centralità" verranno costruite nei terreni di proprietà dei grandi costruttori (Toti, Scarpellini, Ligresti, Caltagirone, Santarelli) che a colpi di "Accordi di Programma" stanno già ottenendo, in variante al PRG, ulteriori cubature da costruire. Sostanzialmente i costruttori/propietari dei terreni trovando più conveniente andare in deroga al PRG per costruire altri appartamenti invece che gli uffici, le nuove strade o scuole previste, chiedono al comune di modificare le previsioni del Prg impegnandosi di concedere all'Amministrazione un compenso in denaro. Con l'Accardo di Programma si costituisce quindi un tavolo di trattativa tra le parti in cui il privato fa sempre gli affari migliori. Secondo la normativa vigente le Varianti al Piano possono essere approvate solo nel caso in cui si sia dichiarata la "pubblica utilità" della modifica. Per questo motivo, a Roma, operazioni di mera speculazione fondiaria che sono servite soltanto a far costuire enormi cubi di cemento nell'agro romano (area dalla rilevanza archeologico-paesaggistica altissima), a far guadanare (?) palate di denaro e profitti strabilianti ai soliti noti, sono state spacciate come trasformazioni a vantaggio della collettività.
Eclatante ed emblematico il "caso Bufalotta". Periferia nord est, qui la sede scelta per la "Centralità" ricade nei terreni di propietà dei fratelli Caltagirone. I costruttori si accorgono che non riusciranno a vendere il milione di metri cubi di uffici, allora chiedono al comune un cambiento di destinazione, con l'accordo di programma; ottengono di poter costruire 5000 appartamenti in più al posto dei servizi e delle opere pubbliche in cambio di 80 milioni di euro elargiti al comune per prolungare di 4 chilometri la metropolitana. Peccato che per far arrivare fin lì la metro al comune costerebbe 600 milioni. Dov'è l'utilità pubblica?
Il servizio mette in evidenza come le scelte urbanistiche dell'Urbe (ma il caso potrebbe essere esteso a tutto il paese) siano determianate più dai costruttori e più per perseguire il profitto che non il bene collettivo.

Il servizio inoltre fa vedere come funzionano le cose a Parigi e Madrid, altre due capitali.
A Parigi, come a Madrid, il comune si comporta come un imprenditore che fa gli interessi del Pubblico, ed ha sempre l'ulltima parola sulle scelte urbanistiche. A lavorare sulla progettazzione e costruzione dei nuovi quartieri sono i migliori architetti della scena nazionale e non, dando vita a brani di città di elevatissima qualità estetica. Molta considerazione è affidata alle esigenze dei giovani e dei nuclei familiari a basso reddito (specie nel caso Madrid) e questo determina un forte impegno nei confronti della residenza pubblica che in questi paesi offre standard qualitativi che in Italia ci sognamo. C'è da dire che a Roma, come nel resto d'Italia, la costruzione delle case popolari è uguale a zero da più di ventanni comportando l'innalzamento dei canoni d'affitto e l'esplosione del mercato immobiliare e della rendita fondiaria.

A questo indirizzo troverete la puntata integrale. http://www.report.rai.it/R2_popup_articolofoglia/0,7246,243%5E1078257,00.html

P.S:Fin quando continuerà a mancare una Azione Pubblica efficace e moralmente integra, in Italia, i danni recati al nostro territorio e alle nostre città e alla qualità della nostra vita non cesseranno, ma saranno pochi "amici" a guadagnarci e sempre gli stessi personaggi.

lunedì 5 maggio 2008

Redditi 2005, Visco sfida il Garante

Oggi Repubblica ha pubblicato un interessante articolo di Carlo Bonini sulla vicenda delle dichiarazioni dei redditi.

Il legale di Visco nell'articolo spiega che il viceministro è tranquillo visto che il reato che viene ipotizzato, il trattamento illecito di dati personali, non può conoscere destino diverso che l'archiviazione. "Va da sé che rispettiamo il lavoro di un magistrato responsabile e capace come il procuratore aggiunto Franco Ionta - dice il legale di Visco - ma è altrettanto chiaro che in questa storia le procedure sono state rispettate e che chi oggi le contesta nel dibattito pubblico dovrebbe avere almeno l'onestà intellettuale non di cavillare, ma di dire con chiarezza agli italiani che non vuole che un principio di trasparenza fissato per legge nel lontano 1973 venga applicato. Si abbia insomma il coraggio di riconoscere che quelle norme non vanno più bene e che, negli anni scorsi, quando pure sono state applicate qualcuno dormiva".

Gli argomenti sostenuti dal difensore di Visco sono due. Il primo argomento insiste sul "principio di trasparenza e l'obbligo di pubblicazione" dei dati fissato dalla legge del 1973. Il secondo sulla "assoluta equivalenza tra lo strumento della carta stampata e Internet". Negli anni passati infatti i quotidiani hanno pubblicato elenchi completi di contribuenti e gli stessi quotidiani, da anni, diffondono i propri contenuti anche online. L'autore del pezzo fa notare che in occasione di questi precedenti il Garante non ha mai eccepito nulla.

http://www.repubblica.it/2008/04/sezioni/economia/redditi-online/visco-sfida-garante/visco-sfida-garante.html

Domani verrà pubblicata la decisione del Garante.

domenica 4 maggio 2008

Redditi 2005: giusto metterli sul web

E' facile prevedere come andrà a finire il braccio di ferro tra l'Agenzia delle Entrate e l'associazione Codacons. Alla fine vincerà l'erario: la scelta di pubblicare l'elenco dei contribuenti sul web è perfettamente lecita perchè gli elenchi sono pubblici. Le inchieste penali saranno quindi archiviate.

E' inutile rivolgersi alla magistratura:

1) innanzi tutto gli elenchi delle dichiarazioni dei redditi 2005 sono pubblici ai sensi dell’articolo 69 del Dpr 600 del 1973 e dell’articolo 66 bis del Dpr 633 del 1972. L'Agenzia ha il dovere di farli conoscere ai cittadini e quindi non era tenuta a informarne gli interessati. Infatti il consenso non deve essere chiesto quando il trattamento dei dati "è necessario per adempiere ad un obbligo previsto dalla legge" (art. 24, comma 1, lettera A del d.lgs 196 del 2003)

2) in secondo luogo per dimostrare la sussistenza del reato di violazione della privacy (art. 167 del d.lgs 196 del 2003) sarebbe necessario provare che i dirigenti dell'Agenzia delle Entrate hanno agito "al fine di trarne per sé o per altri profitto o di recare ad altri un danno". Ed è invece chiaro che chi ha messo i dati sul web ha agito in buona fede. La buona fede nel diritto penale si presume fino a prova contraria. Sarebbe compito del Pm convincere i giudici che i dirigenti dell'Agenzia hanno agito con la volontà specifica di trarne profitto o di danneggiare i contribuenti. Solo un dirigente masochista avrebbe dato via libera al provvedimento sapendo le polemiche scaturite: è chiaro che chi ha agito era in buona fede e quindi deve essere assolto.

Quello che lascia perplessi è l'atteggiamento del Codacons. L'associazione ha presentato una denuncia a 104 procure dando un enorme carico di lavoro ai Pm. Bastava rivolgersi alla sola Procura di Roma, l'unica competente. Coinvolgere le altre 103 è stato un atto inutile. Perchè farlo? Per apparire sui giornali? Per farsi belli agli occhi dei cittadini? Per sommergere di cartacce le Procure e costringerle ad aprire fascicoli inutili che verranno poi richiusi visto che solo il tribunale di Roma è competetente? Poi ci lamentiamo dei tempi biblici della giustizia...

In ogni caso presto si pronunceranno il Garante della privacy e il Gip di Roma. Spero che alla fine vinca il diritto: i dati devono essere rimessi sul sito dell'Agenzia e le indagini archiviate. E non dite che in questo modo la mafia sarà avvantaggiata nell'imporre il pizzo. Non ne hanno bisogno perchè usano già altri sistemi basati sul numero dei dipendenti e delle vetrine del negozio taglieggiato.

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LE RAGIONI DEL CONTENDERE. Gli elenchi delle dichiarazioni dei redditi 2005 sono stati resi pubblici ai sensi delle due norme citate sopra. In base a tali disposizioni le dichiarazioni devono essere liberamente consultabili. Il Codacons ne contesta però la pubblicazione sul sito dell'Agenzia affermando che le due norme sarebbero state implicitamente abrogate dalla legge 241 del 1990 ("legge sul procedimento amministrativo") nella parte in cui prevede che l'accesso ai documenti amministrativi sia subordinato alla presentazione di un'apposita richiesta.

La tesi del Codacons è chiaramente infondata. Tanto per cominciare se il legislatore avesse voluto abrogare queste due disposizioni di legge lo avrebbe fatto esplicitamente. In secondo luogo la legge 241 non può essere applicata alle dichiarazioni dei redditi. Questi documenti sono "pubblici" per legge e cesserebbero per ciò stesso di essere tali se la loro visione fosse subordinata a una richiesta di accesso.