venerdì 29 giugno 2012

La legge sul "numero chiuso" rinviata alla Corte costituzionale: ecco perchè non siamo d'accordo

La legge sul “numero chiuso” nelle università è incostituzionale? La recente decisione del Consiglio di Stato ha rinviato la questione alla Corte costituzionale (sezione VI, ordinanza n. 3541 del 2012, pres. Volpe, est. De Nictolis). Personalmente il rinvio mi lascia perplesso e, pur considerando la legge incostituzionale (per quanto poco conti il mio pensiero), penso che il ragionamento dei giudici amministrativi in questo caso sia errato. Non hanno colto nel segno.

Mi scuso, in via preliminare, se il ragionamento che sto per fare apparirà banale ai giuristi e troppo complesso a tutti gli altri. Faccio inoltre una precisazione, prima di essere sommerso dalle email. Se la Corte costituzionale accoglierà le tesi del Consiglio di Stato, il “numero chiuso” resterà in piedi. Cambierà solo che da ora in poi ci sarà una graduatoria unica nazionale. La pronuncia, inoltre, potrà avere utilità per i ricorrenti che attualmente hanno un ricorso pendente davanti al giudice amministrativo, in base alla loro situazione personale (se tra i lettori c'è qualcuno che rientra in questa categoria è pregato di rivolgersi al suo avvocato), non a tutti gli altri. Se avete dubbi o volete esprimere la vostra opinione postate un commento sul blog, non inviate mail personali su questa vicenda perché non vi risponderò.

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 Nel merito, ritengo che questa volta il Consiglio di Stato non abbia focalizzato il problema. Impressione personale, magari infondata, ma che nasce da considerazioni precise. La legge sul “numero chiuso” nelle università non prevede la graduatoria unica nazionale, ma neanche la impedisce (art. 4, l. n. 264 del 1999). Il Ministero emette ogni anno, in genere verso giugno, un apposito decreto in cui fissa il numero dei posti e individua le modalità di selezone. Ora, piuttosto che prendersela con la legge n. 264 (che non ha imposto la graduatoria unica nazionale), forse sarebbe stato il caso di prendersela col decreto ministeriale che, nel silenzio della legge, ha fissato le modalità di svolgimento test prevendendo tante graduatorie locali invece che una sola nazionale. Il Giudice amministrativo ha certamente il potere di annullare un simile decreto senza bisogno di rivolgersi alla Corte costituzionale.

Mi sembra che i giudici, contestando la mancata previsione della graduatoria unica nella legge, stiano di fatto invocando l’esistenza di una “riserva di legge assoluta”, ossia dell’obbligo del legislatore di stabilire i principi generali e la normativa di dettaglio per accedere ai corsi di laurea. Ma un simile obbligo essite davvero? La Corte costituzionale, nella sentenza n. 383 del 1998 sul “numero chiuso”, ha negato l’esistenza di una tale riserva, ammettendo invece l’esistenza di una “riserva di legge relativa”, ossia del solo obbligo dello stato di indicare con legge i principi generali, fermo restando che la "normativa di dettaglio" sarà indicato nei regolamenti o nei decreti ministeriali, fonti del diritto di rango inferiore alla legge. La Corte non l'ha detto espressamente, ma l'ha lasciato intendere, perché nel dichiarare costituzionale la normativa italiana sul "numero chiuso" in vigore pprima della 1999 ha invocato l'esistenza di norme comunitarie generiche che non prevedevano una disciplina di dettaglio. In quella sentenza, inoltre, i giudici suggerivano allo Stato, per evitare il contenzioso (e dunque non perchè ritenuto indispensabile), di emanare una legge che regolasse la materia degli accessi in maniera organica. Pochi mesi dopo il parlamento approvò la legge n. 264 del 1999. Ora, come si può rimproverare alla legge n. 264 del 1999 di non avere espressamente impedito le graduatorie di ateneo, quando in realtà in materia di accesso all’università non esiste una riserva di legge assoluta ma una riserva relativa? Dunque il vizio di incostituzionalità non sta nella legge ma semmai nei decreti. Semmai bisognava annullare i decreti ministeriali per violazione degli artt. 3 (ragionevolezza) e 97 (imparzialità e buon andamento dela P.A.) della Costituzione. Non c'era bisogno di contestare la legge che, se proprio doveva essere rinviata alla Corte costituzionale, lo doveva essere per altri profili più gravi indagati nel blog!

Accanto a questa ragione “metodologica” ce ne sono altre sostanziali. Le elenco brevemente:

1) Creare una graduatoria unica, con un sistema di preferenze per cui ogni candidato sceglie in quale sede confluire, è pericoloso perché basterebbe una irregolarità in una sede per annullare la prova a livello nazionale. E le irregolarità – come dimostrano Messina e Catanzaro – non sono affatto rare.

2) Se dovessimo accogliere il principio della graduatoria unica, dovremmo applicarlo anche nei concorsi pubblici in cui i posti vengono assegnati su base regionale, come i più recenti concorsi dell’Agenzia delle Entrate. La Corte costituzionale è pronta a creare un simile scompiglio? La meritocrazia è importante, ma le ragioni organizzative hanno il loro peso. E’ impossibile collocare 70.000 individui in un solo capannone: le graduatorie di ateneo sono il male minore rispetto alla graduatoria unica.

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