mercoledì 20 febbraio 2008

"Il Palazzo della Favara o Castello di Maredolce"...(a Brancaccio?!?)

Piccola riflessione introduttiva...

Palermo? Città incredibile (per il sottoscritto).
Potreste leggere ironia o sarcasmo in questa mia definizione - e sia - ma è solo una mia convinzione che si consolida sempre in maniera maggiore vivendo e conoscendo di più la mia città. Perchè incredibile? Perchè a Palermo la Storia si scontra sempre con la Realtà e spesso ne esce perdente. Già. Perchè se dalla realtà non ne esce negata, a Palermo, la Storia (in questo scontro titanico) in molti casi ne esce ridimensionata e diventa Favola; e l'Homo Panormitanus, per una questione genetica, alle favole... ntz, non ci crede.

Le conosciamo le favole dei viaggiatori arabi, tedeschi e francesi, che addirittura descrivevano Palermo come" la più grande e bella metropoli del mondo", con la sua verdeggiante pianura, la Conca d'Oro (addirittura, t'u'mmaggini!) i giardini di delizie, i "sollazzi" reali, la belle époque. Beh, in effetti, molto spesso ci si accorge che non proprio tutti conosciamo queste favole, e conoscerle sarebbe già qualcosa. Ma non si può pretendere che un palermitano creda a certe cose: se non vede non crede, e se non crede non vede. E troppi sono i luoghi che non si vedono, troppe le storie a cui non si crede o a cui non si è creduto, troppi i tesori a cui non si riconosce o a cui non si è riconosciuto il giusto valore, qui, a Palermo.

C'è da dire, però, che alcune "fantastiche" descrizioni di Palermo, oltre che da poeti e letterati (dunque personaggi che potremo considerare abili e professionalmente portati alla manipolazione delle parole) ci provengono da geografi, scienziati o cronisti...che non è che si potevano mettere a scrivere favole!

Il luogo che sto per descrivervi non lo conoscevo e non ne avevo mai sentito parlare fin quando un mio insegnante di liceo mi ci portò in carne e ossa. Ma come me allora, oggi tantissimi palermitani non conoscono questo luogo, anche chi ci abita a 200 metri, perchè la città lo ha nascosto e offeso, e ancora oggi lo nega. Andate in giro per Palermo a chiedere: "Scusi, lei sa che a Brancaccio ESISTE (perchè potrebbe entrarci calcando il suolo con i propri piedi) un CASTELLO (di età arabo-normanna) con un PARCO che si chiama di "MAREDOLCE"?". Poi provate a registare le risposte e, magari, alla fine avrete scoperto che in molti non conoscono questo "Maredolce" e che sarete riusciti solo a suggerrire un nuovo e originale ossimoro ad un passante con la passione per la letteratura e la poesia.

Magari, d'altra parte, registrerete che molti invece conoscono Brancaccio per certe "storie" sulla mafia o su un "parrino" che cercò di ribellarsi alla mafia per riscattare il quartiere dalla morsa criminale e restituirlo ai suoi abitanti onesti. Ma questa è un'altra storia...

Note sull'arte Arabo-Normanna

Con la definizione "arabo-normanna" si indica una particolarissima fase artistica (ma anche civica) che interessa Palermo e la Sicilia dal IX° alla fine del XII° secolo. Tale definizione può essere utilizzata solo qui, in Sicilia, dal momento che include in maniera indistinta i materiali di due diverse civiltà che altrove hanno dato vita a produzioni artistiche completamente distinte sia dal punto di vista geografico che formale. Se volete vedere i resti di una costruzione tipicamente "normanna" (cattedrali, castelli...) dovrete recarvi a nord, in Francia, in Inghilterra, in Danimarca; se siete affascinati dall'arabesque, dalla sinuosa e fluida architettura araba, dovete recarvi un po' più a sud, in qualche paese islamico, o anche in Spagna; ma se volete vedere qualcosa di diverso e unico al mondo ( di arabo-normanno appunto ) dovete visitare la Sicilia: testimonianze artistiche nord-occidentali cresciute su precedenti strutture arabe, maestranze arabe che lavorano per committenze normanne, l'elemento occidentale e cristiano che convive e si fonde con quello islamico.
Tralasciando la portata, la rilevanza storica dell'apertura culturale e l'abilità politica che i normanni portarono in Sicilia e che fecero della Palermo del XII secolo (secoli bui per il resto d'Europa) esempio impareggiabile (per il mondo dei nostri giorni) di civiltà cosmopolita e multiculturale, è noto come, anche dopo la conquista normanna (1071), maestranze arabe proseguissero nell'opera edificatoria e decorativa con sistemi pressochè immutati, specialmente nella parte occidentale dell'isola. La commistione degli stili è così forte , il legame e l'armonia tra vecchie e nuove strutture è così stretto da rendere impossibile ogni distinzione. Di sicuramente arabo in Sicilia resta ben poco al di fuori delle Terme di Cefalà Diana (forse rimaste l'unico esempio di architettura civile islamica in Sicilia), o nella stessa Capitale, dei pochi resti del Castellammare presso "la Cala". Tutto il resto della testimonianze, che con il loro fascino oggi richiamano milioni di turisti ogni anno, sono ville palazzi castelli e chiese edificati durante la dominazione normanna su preesistenze e con maestranze arabe. Così fu a Palermo per le ville e per i palazzi normanni, da quello che ancor oggi si chiama "Palazzo dei Normanni" a quello della "Favara o di Maredolce" a Brancaccio, in via "Emiro Giafar"

Sul luogo e sulla storia del Castello

Il “Castello della Favara”, o di “Maredolce”, si trova nel vicolo Castellaccio prospiciente Piazza dei Signori, a Brancaccio…Palermo: praticamente tra la via Giafar, via Conte Federico e l’autostrada. Se non fosse per l’edilizia recente, anche abusiva, che lo circonda, il Castello dominerebbe uno dei principali accessi alla città (se non il principale dato che da questa “porta” transitano i flussi provenienti da Messina Catania ed Agrigento). Ancor oggi, percorrendo l’ultimo tratto di autostrada in direzione Palermo, poco prima dello svincolo per il porto, si riesce a scorgere un piccolo angolo del Castello. Ma per far ciò bisogna essere prima istruiti, preparati davvero bene ( oltre che procedere a velocità moderata), ed avere un occhio abile a cogliere un immagine che resterà disponibile alla vostra vista per meno di un secondo.

Il nome “Favara” deriva dall’arabo al-Favarah ( la sorgente). Il Parco della Favara si estendeva dal Castello ai piedi del Monte Grifone, dove si trovano ancor oggi, due sorgenti d’acqua che alimentavano un laghetto che bagnava su tre lati il Palazzo. Il termine Maredolce si riferisce dunque al piccolo “mare di acqua dolce” che circondava il Castello. Al centro del bacino vi era un'isola con palme e agrumeti raggiungibile solo in barca, e tutto il complesso era circondato da lussureggianti giardini. Sull’epoca di costruzione esistono più tesi; alcuni la fanno risalire all’epoca dell’Emiro Kalbita Jafar (997/1019), altri dal re normanno Ruggero II sul luogo dove sorgeva già un castello o una tenuta dell’Emiro Giafar, forse forse identificabile con il Qar Jafar (il Palazzo di Jafar) visto da Ibn Giubair nel 1184, e che Michele Amari collega al nome dell'emiro kalbita che governò Palermo dal 998 al 1019.

Abd-er-Rhaman, un poeta arabo, scrisse della Favara”: <<…l’acqua limpidissima d’ambo le polle somiglia a liquide perle, e stendesi che sembra un mare. Mentre nuota il grosso pesce nella chiara linfa, e gli uccelli tra questi giardini modulano il canto>>. E di questi giardini il poeta cantò: <<…le arance mature che sembrano fuoco che arda su verghe di smeraldo>>, concludendo che ciò che aveva visto con i suoi occhi era cosa certa e che se avesse udito racconti di delizie uguali a queste, gli sarebbero sembrate delle fantasticherie. Un luogo di delizie, quindi il palazzo dell’Emiro Giafar, restaurato ed ingrandito da re Ruggero che vi aggiunse la Cappella dei SS. Filippo e Giacomo e fece ampliare il laghetto che circondava la costruzione. Entrò a far parte dei castelli del parco normanno, degli splendidi palazzi del re, che – a dire di Ibn Giubayr - << circondavano la città, come monil il collo di donzelle dal seno ricolmo>>.(da R.La Duca, “La città perduta” ).

Il parco della Favara, quindi, faceva parte di un sistema di residenze reali di delizia, i "sollazzi", che godettero del massimo splendore sotto re Guglielmo II: la Cuba Sottana oggi Castello della Cuba, la Cuba Soprana (oggi presso villa Napoli) con annesso padiglione della Cubola, entrambi all'interno di un ampio bacino lacustre artificiale contornato da vegetazione, il Castello della Zisa, e infine il Castello dell'Uscibene, in completo degrado nella zona di Fondo Caro, pervasa da scempi da abusivismo edilizio. Questo sistema di residenze ad Est delle mura della città e che impressionava molto i visitatori, fu denominato Jannat al-ar ("Il giardino - o Paradiso - della terra o delle rose): il Genoardo.

“L’abbondante acqua di quelle due sorgenti e di altre minori, permise a Ruggero l’impianto di un doppio bacino assai ampio e tanto profondo da permettere la navigazione di piccole barche e la pesca. Fu necessario creare a valle un muro di sbarramento, in grossi conci e a linea spezzata secondo l’andamento del suolo, tuttora esistente. Il Palazzo si specchiava su quel lago artificiale ed era immerso entro una ricca vegetazione nella quale spiccavano le palme e il forte colere delle arance e dei limoni. Non si pensi che il bacino d’acqua servisse soltanto al diletto; esso ebbe una valenza agricola notevolissima per le coltivazioni dell’intera campagna meridionale della città. In centro al lago era un isolotto la cui presenza era tutt’altro che casuale; esso nacque dal preciso proposito di creare un ciuffo di verde che sembrasse uscire dallo specchio dell’acqua sulla quale, riflettendosi, creava effetti di poetica meraviglia.” (da: G.Bellafiore, “Parchi e giardini della Palermo normanna” ed. Flaccovio, 1996, p.44)

Il Castello continuò a rimanere quale “sollatium” reale anche nel periodo svevo e probabilmente soffrì danni durante il Vespro Siciliano. Rimase Castello Regio anche sotto il regno di Pietro d’Aragona, che con un diploma del 1282 lo dichiarava tale assieme alla Cuba e la Zisa. Con un diploma del 1328 di Federico II d’Aragona il Castello passava ai Cavalieri Teutonici, e da svariate fonti sappiamo che l’antico bagno o stufa, veniva usato per scopi terapeutici. Nel XV secolo il Castello venne ceduto a privati, in quanto gli abati succeduti ai Commendatori della Magione non riuscirono a riscattarlo come bene appartenente all’ordine Teutonico. I nuovi proprietari furono i potenti Bologna, a cui il Castello appartenne fino al XVI sec. Nel XVII secolo il bene divenne proprietà di Francesco Agraz duca di Castelluccio. Dopo comincia il lungo cammino del degrado e dell’oblio.

Note sull’architettura del Castello

La pianta del Castello è di tipo rettangolare con una rientranza sul fronte nord-est che spezza la linearità dell’andamento. I vani della costruzione sono raccolti attorno un ampio cortile interno un tempo porticato. Oggi il porticato non esiste più, ma sono rimaste tracce delle imposte delle volte negli angoli sud-ovest e sud-est. Sul fronte principale (l’unico non bagnato dalle acque del lago), prospiciente su vic. Castellacio, si aprono quattro ingressi: il primo è della così detta “aula regia”, il secondo è della cappella, il terzo immette all’interno del cortile, il quarto è tampognato. Connessa con “l’aula regia”, sull’ala sud-ovest si aprono le stanze più importanti del manufatto, con volte a botta o a crociera. Infatti sull’estremità di questa ala sono ubicate due grandi sale la cui altezza occupa le due elevazioni del Castello, come pura la cappella e “l’aula regia. Lungo l’ala sud est, a piano terra, si aprono una serie di ambienti voltati a crocera, di pianta quadrata.

L’ala nord-est era forse destinata ai servizi: stalle e magazzini. Di questa parte rimane originale solo il paramento murario esterno, mentre le restanti parti sono state ricostruite in maniera disordinata.

Degli ambienti interni sono rimarchevoli, oltre le consuete volte a botte e crocera, la cupola della cappella e nell’ “aula regia” una nicchia rettangolare coperta da una volta pieghettata. I fronti del Castello esprimono in sintesi elementi morfologici presi dalle tre tradizioni: bizantina, araba e normanna.

Tutta la costruzione poggia su un solido basamento di grossi conci di dimensione pressoché costante, distribuiti in otto filari sul fronte nord-ovest e in tre sugli altri. Ancora oggi è possibile scorgere alcuni brani di intonaco impermeabile. Sul fronte sud-ovest si nota alla sinistra di chi guarda una grande apertura, che fa supporre la presenza di un ponte levatoio che immetteva direttamente dal Castello al lago. (da scheda ANISA redatta da S.Braida, 1985)

La cappella dei Santi Filippo e Giacomo

Si trova nel lato nord-occidentale del palazzo. Ha pianta rettangolare, ad unica navata coperta da due volte a crocera. Il transetto è contenuto nella stessa dimensione del rettangolo della navata, sul fondo si apre un abside centrale, illuminata da una finestrella, e due più piccole laterali ricavate nello spessore della muratura. Al centro del transetto si sviluppa una piccola cupola “orientalizzante” con quattro finestrelle aperte sul tamburo raccordato alla nave da piccole nicchie. Il transetto è illuminato da due finestre poste sui lati corti, mentre la navata è illuminata solo sul lato nord-ovest da quattro finestre. (da scheda ANISA redatta da S.Braida, 1985)


Riflessioni

“Nel corso dei secoli, l’antico castello di Giafar cadde in abbandono, le sue strutture edilizie andarono in rovina, ma la sua massa imponente si stagliava sempre nella verde campagna meridionale della città. L’iconografia del Settecento e del XIX secolo è ricca di immagini romantiche di questa costruzione. Sino al 1962 circa, il castello della Favara poteva ancora ammirarsi da un largo spiazzo che si estendeva lungo il suo fronte e che il piano regolatore della citta…aveva destinato a “verde pubblico”. Ma proprio in quell’anno una costruzione abusiva ne occultava completamente le fabbriche… Continuò per circa un decennio, e continua ancora, il lento scempio urbanistico della zona in cui sorgono l’edificio e la rovina delle fabbriche dello stesso…” (da R.La Duca, “La città perduta” ).

In questi ultimi anni la Sovrintendenza dei Beni Culturali della Regione ha realizzato il recupero monumentale dell’edificio, raggiungendo qualche positivo risultato ed eliminando gli episodi più gravi di abusivismo. L’impegno e l’iniziativa del FAI, di Legambiente, di comitati di cittadini, di giornali periodici e delle scuole, hanno sollecitato gli Enti Locali al fine di “riaccendere” il loro interesse per il pieno recupero della zona, da troppo tempo abbandonata ad un amaro ed inesorabile destino. Giornate ambientaliste, visite guidate hanno fatto riscoprire ai cittadini un tesoro nascosto; hanno sensibilizzato l’opinione pubblica sulla necessità di un intervento finalizzato, non solo a ridare la giusta dignità ad un manufatto artistico che appartiene al patrimonio culturale dell’intera città, ma anche volto ad offrire un segno positivo al quartiere.

Fondamentale sarebbe legare il recupero monumentale (del Castello) a quello naturalistico ed ambientale ( ma, in questo senso, temo si sia persa l’occasione offerta dal progetto del Parco Agricolo di Ciaculli ) per creare le premesse di un generale riordino urbanistico e sociale del quartiere Brancaccio. Importante prospettiva turistica e culturale è quella di realizzare qui il terminale di un itinerario turistico dei sollazzi normanni, che può iniziare dalla Zisa, passando per la Cuba, per lo Scibene e concludersi appunto, a Maredolce.


Nota a margine
: Ciò che ho visto, imparato a Maredolce e trasmesso ai visitatori, anni fa, facendo da cicerone per l’iniziativa “la scuola adotta un monumento” sono la causa della mia scelta di iscrivermi ad un corso di Urbanistica.


4 commenti:

  1. Tanto di cappello... un ottimo articolo, scritto con senso critico e al contempo propositivo.. sarebbe ora che certi "tesori palermitani" tornino al loro antico splendore.

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  2. Buongiorno. Sono francese e sto leggendo in italiano il romanzo di Barry Unsworth (la donna del rubino) in cui si tratta di intrighi nel XII secolo a Palermo con saraceni e normanni. Una partita di caccia succede nel palazzo di Favara...

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  3. I normanni erano um popolo barbaro.Non potavano fare le meraviglie architetoniche chi gli sono riferite. Non capisco perchè in Italia si dice "arte normanna" quando in realtá è un'arte araba. Sono stata a Palermo e sono stata colpita dala bellezza di tutto. Ma quando me hano deto che qull'arte era normanna, mi sentì la proria scema.Perche fanno questo, negare e nascondere un bello passato?
    Alice dal Brasile.
    klaire234@hotmail.com

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  4. La signora che scrive ha ragione. Forse non le hanno detto che i monumenti di cui si è innamorata sono frutto della civiltà arabo-siciliana, costruiti per volere dei re normanni e quindi nel XII secolo quando gli islamici non erano più al potere ed era nata prima la contea e poi il regno normanno.

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"Il fatto che un'opinione sia ampiamente condivisa, non è affatto una prova che non sia completamente assurda. Anzi, considerata la stupidità della maggioranza degli uomini, è più probabile che un'opinione diffusa sia cretina anziché sensata". Bertrand Russell.